Lavoratore dipendente, prevalentemente maschio, impiegato nella pubblica amministrazione. È l’identikit del candidato potenzialmente interessato a uscire dal mondo del lavoro sfruttando il treno di “quota 100”. I lavoratori fra 60 e 64 anni risiedono in 680mila al Nord e in 529mila al Sud. A questo profilo si contrappone la fotografia dei giovani in cerca di impiego: al Sud sono in 882mila e per la metà si tratta di donne.
È il quadro che emerge dall’analisi svolta dalla Fondazione Leone Moressa per il Sole 24 Ore del Lunedì, per provare a capire - in base alle statistiche del mercato del lavoro - quanto aprire le porte della pensione a circa 300mila lavoratori all’anno fra il 2019 e il 2021 (questa la stima del Governo sulle adesioni a quota 100) potrebbe creare nuovi spazi di occupazione per i giovani.
PER SAPERNE DI PIÙ / DOSSIER PENSIONI 2019
I lavoratori più vicini all’uscita
I lavoratori nella fascia di età tra 60 e 64 anni, quindi i più vicini all’uscita dal mercato, nel 2018 erano 1,5 milioni,
quasi il 7% degli occupati totali, che sono 23 milioni (bisogna ricordare comunque che l’accesso a quota 100 è possibile
anche a lavoratori più anziani). Fra questi lavoratori, il 44% risiede al Nord. In realtà, i primi dati reali sulle adesioni
a quota 100 rivelano che prevalgono le domande di pensionamento provenienti dal Sud e dalle Isole (17.008 su 42.397), ma comunque
è rilevante il fatto che nel Mezzogiorno risieda solo il 34,2% dei lavoratori potenzialmente coinvolti dalle uscite per età.
Sette lavoratori “anziani” su dieci hanno un contratto da dipendenti (a tempo in determinato nel 67,9% dei casi e a tempo determinato nel 4,1%). Gli indipendenti sono il 28 per cento.Uno su quattro è laureato o ha titoli post-laurea. Se si guarda ai settori di impiego delle persone potenzialmente coinvolte da quota 100, spicca il primato della pubblica amministrazione, che occupa il 36,2% dei lavoratori a fine carriera (560mila). Il primo mestiere è quello degli impiegati «addetti alla segreteria e agli affari generali». Al secondo posto c’è la scuola, con i «professori di scuola secondaria, post-secondaria e professioni assimilate». Al terzo posto troviamo i medici. È dunque poco probabile che l’uscita di questi lavoratori possa comportare un turnover a favore dei giovani, considerando le necessità di contenimento della spesa pubblica. Trattandosi di lavoratori a fine carriera, nel 43,3% dei casi svolgono professioni ben qualificate e tecniche. Il 57,7% dei lavoratori over 55 (e fino a 64 anni) è di sesso maschile.
Le persone in cerca di lavoro
È al Sud e nelle isole il 61,5% dei giovani fra 25 e 34 anni potenzialmente disponibile a lavorare: è il dato che emerge
se si guarda alla platea dei disoccupati (quelli nella fascia di età considerata sono 767mila) e alle cosiddette forze di
lavoro potenziali (cioè gli inattivi, disponibili subito a lavorare o che cercano lavoro anche se non possono essere immediatamente
occupati). Mentre i giovani, a livello demografico, sono infatti distribuiti in maniera omogenea sul territorio nazionale,
la maggior parte di coloro che sono disponibili a entrare nel mercato del lavoro sono nel Sud e nelle Isole. Solo il 23%,
invece, è al Nord. E uno su due dei giovani potenzialmente disponibili è donna.
È probabile, dunque, che nell’ambito del “patto per il lavoro” che sarà sottoscritto dai percettori del reddito di cittadinanza, non sia remota (almeno secondo la legge) l’eventualità di dover accettare un’offerta in tutto il territorio nazionale, come previsto nei primi 18 mesi di fruizione del beneficio per l’ultima delle tre offerte “congrue” e, in caso di rinnovo del sussidio, anche per la prima offerta (a meno che in famiglia non ci siano persone disabili).
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