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Permesso di soggiorno anche all’ambulante senzatetto

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Permesso di soggiorno anche all’ambulante senzatetto

La contestazione per «mancata dimostrazione del possesso di un'idonea sistemazione alloggiativa», inadempienze tributarie e previdenziali e redditi considerati inattendibili non bastano a motivare il diniego al rinnovo del permesso di soggiorno.

Con la sentenza numero 26/2019 il Tar di Cagliari ha accolto il ricorso presentato da un cittadino pakistano da anni residente a Sassari al quale la Questura aveva rigettato l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno.

L'uomo, commerciante ambulante dal 2013, nel luglio 2018 presenta istanza di permesso di soggiorno per “soggiornanti di lungo periodo”, proprio in virtù della sua attività lavorativa.

La Questura, dopo un preavviso, respinge la richiesta perché “l'interessato non avrebbe adeguatamente dimostrato il possesso di idonea sistemazione alloggiativa”, i redditi del 2015 “sarebbero inattendibili, se non altro perché accompagnati dall'indicazione di costi per l'acquisto delle merci troppo esigui e tali da configurare un ricarico (pari al 1472%) ampiamente superiore a quello medio degli operatori del settore (pari al 378%)”.

Secondo le motivazioni del diniego, sarebbero inattendibili anche i redditi del 2016 “perché accompagnati dall'indicazione di costi sostenuti per l'acquisto delle merci poi rivendute non comprovati dall'esibizione di fatture, scontrini o altra documentazione”.

Quindi il ricorso del commerciante al Tribunale amministrativo regionale che lo accoglie “avendo l'interessato fondatamente contestato tutti i profili motivazionali posti a base del provvedimento impugnato”.

Sulla questione relativa all'alloggio il Tar rileva che il commerciante “aveva sempre tempestivamente comunicato all'Ufficio i propri cambi di residenza”.

Quanto alle contestazioni sui redditi, i giudici amministrativi scrivono che, nel caso degli importi relativi al 2015, “la sola incongruenza tra il ricarico (cioè il rapporto tra i ricavi e i costi) risultante dalle dichiarazioni dei redditi presentate dall'interessato e il ricarico medio di categoria emergente dagli studi di settore non costituisce elemento sufficiente a dimostrare l'inattendibilità del reddito dichiarato”.

Non solo: “Sulla base di quanto emerge dalla vigente normativa tributaria, gli studi di settore assumono valore di presunzione relativa di evasione fiscale e, come tali, possono essere posti a base di avvisi di accertamento tributario; ciò, tuttavia, non consente di attribuire medesima valenza presuntiva agli studi di settore, per così dire, “in senso inverso”, cioè per ricollegare allo scostamento da essi la presunzione di un minor reddito rispetto a quello dichiarato dall'extracomunitario ai fini del soggiorno in Italia”.

In merito alla contestazione sul fatto che l'uomo non avesse fatture o scontrini che comprovassero i costi di acquisto delle merci (per l'anno 2016) i giudici scrivono che “alla mancata documentazione dei costi si contrappongono altri elementi di segno contrario, in particolare il fatto che il ricorrente soggiorna da tempo in Italia sulla base di un titolo di soggiorno per lavoro autonomo già regolarmente rinnovato senza che la stessa Questura avesse mai sollevato alcun rilievo circa la mancata documentazione dei costi delle merci”.

Per il Tar “tale prassi pregressa, prolungatasi a lungo nel tempo, ben può aver indotto l'interessato a ritenere non necessario conservare la documentazione a comprova dei costi sostenuti e questo potrebbe spiegare il fatto che lo stesso straniero non è oggi in grado di porre tale documentazione a fondamento della propria richiesta di rinnovo del titolo di soggiorno”.

Prassi che però il commerciante non potrà invocare in futuro “a sostegno di future (eventuali) richieste di rinnovo del titolo di soggiorno, essendo egli ormai perfettamente edotto della necessità di conservare la documentazione comprovante i costi di acquisto delle merci”.

C'è poi un ultimo aspetto: quello legato agli obblighi tributari e previdenziali. I giudici chiariscono che “non è giuridicamente possibile far discendere dal mancato adempimento degli obblighi tributari e previdenziali l'illecita provenienza del reddito dichiarato ai fini del soggiorno e, dunque, l'irrilevanza dello stesso ai fini del soggiorno in Italia: l'evasione fiscale e previdenziale nulla ha a che vedere con il “fattore produttivo” del reddito che “a monte” lo qualifica come lecito o illecito e sul quale la tassazione si inserisce ex post quale “obbligo legale successivo” (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, 25 luglio 2016, n. 3326; 25 luglio 2016, n. 3326); ciò tanto più è vero nel caso in esame, nel quale, come emerge dalle memorie endoprocedimentali e dallo stesso ricorso, l'interessato pare ora aver avviato l'iter necessario alla “regolarizzazione” della propria posizione fiscale e previdenziale”. Ricorso accolto, atto impugnato annullato e spese compensate.

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