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Richiedenti asilo trasferibili ma non verso situazioni di degrado

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Richiedenti asilo trasferibili ma non verso situazioni di degrado

Un richiedente asilo può essere trasferito verso lo Stato membro che sarebbe di regola competente per il trattamento della sua domanda o che gli ha già concesso una protezione sussidiaria, salvo che risulti che le prevedibili condizioni di vita dei beneficiari di protezione internazionale lo esporrebbero a una situazione di estrema deprivazione materiale, contraria al divieto di trattamenti inumani o degradanti. Questo l’esito delle sentenze nella causa C-163/17, Jawo e nelle cause riunite C-297/17, C-318/17 Ibrahim, C-319/17 Sharqawi e a. e C‑438/17 Magamadov.

Carenze nel sistema sociale dello Stato membro interessato non consentono, da sole, di pervenire alla conclusione dell'esistenza di un rischio di tali trattamenti.

La causa Jawo concerne principalmente la questione se la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (in prosieguo: la «Carta») osti a che un richiedente protezione internazionale sia trasferito, in applicazione del regolamento Dublino III , verso lo Stato membro che sarebbe di regola competente per il trattamento della sua domanda, nell'ipotesi in cui, a causa delle prevedibili condizioni di vita in cui si verrebbe a trovare in quanto beneficiario di protezione internazionale (sempreché tale protezione gli venga riconosciuta), egli sarebbe esposto a un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante.

I fatti
Una persona originaria del Gambia ha presentato una prima domanda di asilo in Italia, che aveva raggiunto via mare. Egli ha proseguito il suo viaggio e ha presentato un'altra domanda di asilo in Germania. Le autorità tedesche hanno respinto tale ultima domanda in quanto inammissibile e hanno disposto il suo allontanamento.

Tuttavia, il tentativo, nel giugno 2015, di trasferirlo verso l'Italia non è riuscito a causa del fatto che egli non si trovava presso la struttura di accoglienza collettiva in cui alloggiava. Una volta fatto ritorno in tale struttura, l’uomo ha dichiarato che si era recato a trovare un amico in un'altra città tedesca e che nessuno lo aveva informato di dover avvisare in caso di assenza.

Dinanzi al Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg, Germania), l’uomo ha fatto valere che la Germania è divenuta lo Stato membro competente a causa della scadenza del termine di 6 mesi previsto dal regolamento Dublino III per il trasferimento verso lo Stato membro di regola competente, ossia l'Italia.

Poiché il sig. Jawo non era fuggito al momento del tentativo di trasferimento, tale termine non avrebbe potuto essere prorogato fino a un massimo di 18 mesi. Inoltre, il suo trasferimento verso l'Italia sarebbe illegittimo perché in tale Stato membro sussisterebbero carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti nonché nelle condizioni di vita dei beneficiari di protezione internazionale.

Il Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg chiede alla Corte di giustizia di interpretare il regolamento Dublino III nonché il divieto di trattamenti inumani o degradanti contenuto nella Carta. Detto giudice remittente richiama all'uopo la relazione di un'organizzazione svizzera d'aiuto ai rifugiati dell'agosto 2016, che conterrebbe indicazioni concrete che permettono di pervenire alla conclusione secondo cui i beneficiari di protezione internazionale in Italia sarebbero esposti al rischio di una vita ai margini della società, nell'indigenza e senza fissa dimora.

Secondo tale relazione, l'insufficienza del sistema sociale italiano è, per quanto riguarda la popolazione italiana, compensata dalla solidarietà delle strutture familiari, la quale però non gioverebbe ai beneficiari di protezione internazionale. Tale relazione indicherebbe anche le insufficienze nei sistemi di integrazione in Italia.

Queste cause vertono sulla possibilità, prevista dalla «direttiva procedure» , di respingere le domande di asilo in quanto inammissibili a causa della precedente concessione di una protezione sussidiaria in un altro Stato membro.

In un caso, alcuni palestinesi apolidi che avevano risieduto in Siria hanno ottenuto una protezione sussidiaria in Bulgaria. Nell'altro caso, una protezione sussidiaria è stata riconosciuta in Polonia a un cittadino russo che dichiarava di essere ceceno. Dopo che le nuove domande di asilo che queste stesse persone avevano ulteriormente presentato in Germania sono state respinte, esse si sono rivolte agli organi giurisdizionali tedeschi.

Nelle cause riguardanti i palestinesi apolidi, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania) intende segnatamente sapere se la facoltà di respingere una domanda in quanto inammissibile venga meno quando le condizioni di vita dei beneficiari di protezione sussidiaria nello Stato membro che ha concesso tale protezione devono essere considerate come un trattamento inumano o degradante, o quando detti beneficiari, in tale Stato membro, non ricevano alcuna prestazione di sussistenza, oppure essi siano destinatari di siffatte prestazioni in una misura molto inferiore che in altri Stati membri, pur non essendo trattati diversamente, sotto questo profilo, dai cittadini dello Stato membro.

Con le sue sentenze odierne, la Corte ricorda che, nell'ambito del sistema europeo comune d'asilo che si fonda sul principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri, si deve presumere che il trattamento riservato da uno Stato membro ai richiedenti protezione internazionale e alle persone che hanno ottenuto una protezione sussidiaria sia conforme a quanto prescritto dalla Carta, dalla Convenzione di Ginevra e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo.

Tuttavia, non si può escludere che tale sistema incontri, nella pratica, gravi difficoltà di funzionamento in un determinato Stato membro, cosicché sussiste un rischio serio che taluni richiedenti protezione internazionale siano trattati, in tale Stato membro, in modo incompatibile con i loro diritti fondamentali e, segnatamente, con il divieto assoluto di trattamenti inumani o degradanti .

Così, quando il giudice investito di un ricorso avverso una decisione di trasferimento o avverso una decisione che respinge una nuova domanda di protezione internazionale come inammissibile dispone di elementi prodotti dal richiedente per dimostrare l'esistenza del rischio di un trattamento inumano o degradante nell'altro Stato membro, detto giudice è tenuto a valutare l'esistenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone.

Tuttavia, carenze del genere sono contrarie al divieto di trattamenti inumani o degradanti soltanto qualora raggiungano una soglia particolarmente elevata di gravità che dipende dall'insieme delle circostanze concrete del caso. In tal senso, tale soglia sarebbe raggiunta quando l'indifferenza delle autorità di uno Stato membro comporta che una persona completamente dipendente dall'assistenza pubblica si venga a trovare, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale che non le consenta di far fronte ai suoi bisogni più elementari quali, segnatamente, nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio, e che pregiudichi la sua salute fisica o psichica o che la ponga in uno stato di degrado incompatibile con la dignità umana.

Condizioni di vita caratterizzate da un elevato grado di precarietà o da un forte degrado non raggiungono detta soglia quando non implicano un'estrema deprivazione materiale che ponga detto soggetto in una situazione di gravità tale da poter essere assimilata a un trattamento inumano o degradante.

Inoltre, la circostanza che i beneficiari di una protezione sussidiaria non ricevano, nello Stato membro che ha concesso tale protezione al richiedente, nessuna prestazione di sussistenza, o siano destinatari di prestazioni di sussistenza in misura molto inferiore che in altri Stati membri, pur non essendo trattati diversamente dai cittadini di tale Stato membro, può indurre a dichiarare che tale richiedente sarebbe ivi esposto a un rischio effettivo di subire un trattamento inumano o degradante solo se detta circostanza comporta la conseguenza che quest'ultimo si troverebbe, in considerazione della sua particolare vulnerabilità, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale.

In ogni caso, la mera circostanza che la protezione sociale e/o le condizioni di vita siano più favorevoli nello Stato membro in cui la nuova domanda di protezione internazionale è stata introdotta rispetto allo Stato membro di regola competente o che ha già concesso la protezione sussidiaria non è idonea a suffragare la conclusione secondo cui l'interessato verrebbe esposto, in caso di trasferimento in quest'ultimo Stato membro, a un rischio effettivo di subire un trattamento inumano o degradante.

La Corte perviene alla conclusione secondo cui il diritto dell'Unione non osta a che un richiedente protezione internazionale sia trasferito verso lo Stato membro competente o che una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato sia respinta in quanto inammissibile per il motivo che il richiedente ha già ottenuto una protezione sussidiaria da un altro Stato membro, a meno che non si accerti che il richiedente si verrebbe a trovare, in tale altro Stato membro, in una situazione di estrema deprivazione materiale, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali.

Nelle cause in oggetto la Corte aggiunge che la circostanza che lo Stato membro che ha concesso la protezione sussidiaria a un richiedente protezione internazionale rifiuti sistematicamente, senza un esame effettivo, il riconoscimento dello status di rifugiato non osta a che gli altri Stati membri respingano come inammissibile una nuova domanda che l'interessato ha presentato loro. In un caso del genere, incombe allo Stato membro che ha concesso la protezione sussidiaria riprendere la procedura intesa all'ottenimento dello status di rifugiato. Solo se, a seguito di una valutazione individuale, si accerti che un richiedente protezione internazionale non soddisfa le condizioni per ottenere lo status di rifugiato è infatti possibile, se del caso, concedergli la protezione sussidiaria.

Nella causa Jawo, la Corte precisa anche che un richiedente «[è] fuggito» allorché si sottragga deliberatamente alle autorità nazionali competenti per l'esecuzione del suo trasferimento, al fine di scongiurare quest'ultimo. Si può presumere che ciò si verifichi quando tale trasferimento non può essere eseguito a causa del fatto che il suddetto richiedente ha lasciato il luogo di residenza assegnatogli senza aver informato le autorità nazionali competenti della sua assenza, a condizione che egli sia stato informato dei suoi obblighi al riguardo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Detto richiedente conserva la possibilità di dimostrare che il fatto che egli non abbia avvisato le suddette autorità della sua assenza è giustificato da valide ragioni e non dall'intenzione di sottrarsi a tali autorità.

Inoltre, nell'ambito di un procedimento diretto contro una decisione di trasferimento secondo il regolamento Dublino III, il richiedente protezione internazionale può far valere che, poiché non era fuggito, il termine di sei mesi era scaduto e che, a causa di tale scadenza, lo Stato membro che ha deciso il suo trasferimento è divenuto competente per l'esame della sua domanda.

Infine, la Corte sottolinea che, al fine di prorogare il termine di trasferimento a un massimo di 18 mesi, è sufficiente che lo Stato membro richiedente informi, prima della scadenza del termine di trasferimento di sei mesi, lo Stato membro di regola competente del fatto che la persona di cui trattasi è fuggita e contestualmente indichi il nuovo termine di trasferimento.

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