Dire «ti sputtanerò in Tv” non è una minaccia. Intanto perché il comune mortale non ha accesso al mezzo televisivo allo scopo di pubblicizzare le sue liti prive di qualunque pubblico interesse. Poi perché con l’avvertimento non si manifesta l’intenzione di fare una falsa denuncia ma solo di rendere noto a tutti un comportamento che si ritiene ingiusto. Partendo da questi presupposti la Cassazione (sentenza 14373) ha cancellato la condanna per minaccia - con la formula «perché il fatto non sussiste» - inflitta in primo e secondo grado, al cliente di un avvocato che, non soddisfatto di come il legale aveva gestito una procedura immobiliare, aveva chiuso la lite con la frase «ti sputtanerò in tutte le
televisioni». “Avvertimento” che non può essere letto come una minaccia perché l’uomo della “strada” non può decidere
i palinsesti televisivi e attirare l’attenzione dei media su problemi che riguardano solo lui. La difesa del ricorrente
non ha faticato a convincere gli ermellini del fatto che la frase finita nel mirino dei giudici, e che era costata al ricorrente
una doppia condanna, non poteva incutere alcun timore, perché
«l'intenzione di rivolgersi ai mass-media sarebbe espressione di
una recriminazione, di uno sfogo, non di un avvertimento».
Un male minacciato che non entrava nella disponibilità del cliente scontento. Per la Cassazione l’espressione è « sicuramente
inurbana e volgare», ma non fa paura. Il ricorrente ha dunque mancato solo di bon ton, ma nulla di più.
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