Nei processi trasmessi in Tv non basta nascondere gli occhi del testimone per garantire il suo anonimato. La Cassazione rafforza il diritto alla privacy (sentenza9340) e ne afferma la sua violazione quando non vengono adottati tutti gli accorgimenti per nascondere l’identità dei testimoni che danno, come nel caso esaminato, il consenso alle riprese a patto di non essere riconosciuti. Una condizione che va intesa in senso restrittivo: l’identificazione non deve essere possibile neppure da parte dei conoscenti. Gli ermellini hanno così accolto il ricorso di due donne testimoni-vittime del reato per cui si procedeva nel processo mandato in onda, alle quali la Corte d’Appello aveva negato il risarcimento. Richiesta che era stata invece accolta in primo grado. Per il Tribunale, infatti, la Rai avrebbe dovuto adottare degli «accorgimenti atti a non svelare l'identità personale dei soggetti». Mentre le immagini consentivano il riconoscimento delle vittime «quantomeno nella cerchia dei propri conoscenti». Pur non essendo stata trasmessa la parte del processo in cui venivano espressamente indicate le generalità delle testimoni, le riprese erano avvenute in campo corto, l’oscuramento dei volti non era completo, ma limitato alla parte superiore, e le voci non erano state alterate. In alcune inquadrature era possibile anche intravedere il naso e l’occhio di una delle due ricorrenti.
La Corte d’appello, aveva ribaltato la decisione, con una motivazione che la Cassazione considera contraddittoria. Da una parte aveva pienamente riconosciuto il diritto a mantenere segreta l’identità, dall’altra aveva affermato l’esistenza di «un equilibrato bilanciamento tra il dovere di cronaca e la tutela della riservatezza» perché altri accorgimenti avrebbero privato le riprese di «qualsiasi valenza». Affermazione che per la Cassazione è «palesemente falsa sul piano logico». Per la Suprema corte é evidente che oscurare completamente i volti, oppure riprendere le testimoni di spalle o alterare la loro voce, non può in nessun modo influire sulla completezza dell’informazione. E se il principio di diritto da rispettare impone di diffondere immagini delle deposizioni solo se si impedisce l’identificazione del teste, non si può concludere che gli accorgimenti suggeriti dal tribunale avrebbero impedito la «valenza delle riprese», ritenendo così legittimi anche i mezzi che non garantiscono l’anonimato. Una conclusione - non in linea con la premessa - che la Corte d’Appello è chiamata a rivedere con un nuovo verdetto con il quale dovrà accertare se i sistemi messi in atto dalla Rai erano tali da non permettere neppure ai conoscenti di riconoscere le due donne.
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