Il giudice non può respingere la richiesta di asilo, basando il no su generiche fonti internazionali che attesterebbero l’assenza di conflitti o di situazioni ostative al rimpatrio nei paesi di provenienza dei migranti, che chiedono la protezione internazionale, perché la loro vita è a rischio. Con la sentenza 11312, la Cassazione invita i giudici ad essere più precisi «è essenziale - si legge nella sentenza - che il giudice del merito rifugga peraltro da formule generiche e stereotipate, e specifichi, soprattutto sulla scorta di quali fonti abbia provveduto a svolgere l’accertamento richiesto».
Sulla base di questi principi la Suprema Corte ha dichiarato “fondato”
il reclamo di un cittadino pakistano al quale la Commissione prefettizia di Lecce e poi il Tribunale della stessa città,
nel 2017, avevano negato di rimanere nel nostro Paese con la protezione internazionale. La difesa dell’uomo ha fatto presente
che la decisione era stata presa «in base a generiche informazioni sulla situazione interna del Pakistan, senza considerazione
completa delle prove disponibili» e senza che il giudice avesse usato il suo potere di indagine.
Un reclamo accolto. Per la Cassazione il giudice «è tenuto a un dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione
reale del Paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi di indagine e di acquisizione documentale,
in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate», e non di «formule generiche» come il richiamo
a non specificate «fonti internazionali». Il caso dovrà essere riesaminato dal Tribunale di Lecce.
Stop alle espulsioni decise dai prefetti, senza passaggio in Commissione - Ancora una stretta della Cassazione è arrivata con lo stop alle espulsioni dei prefetti senza che la richiesta di asilo sia esaminata dalla Commissione territoriale. Con la sentenza 11309 la Suprema corte ha ricordato che solo la Commissione territoriale può verificare le condizioni di ammissibilità alla protezione internazionale. I giudici nell’esaminare uno dei ricorsi, sempre più numerosi, contro il no all’accoglienza, ha accolto la tesi della difesa di un cittadino senegalese espulso dal prefetto di Milano, dopo che il questore gli aveva trasmesso gli atti dando una valutazione negativa. Il provvedimento era stato adottato sulla base di un foglio notizie, compilato dallo stesso richiedente in questura, nel quale spiegava di essere venuto in Italia perché orfano e accusato di furto nel suo Paese. Per il giudice di pace la decisione del prefetto era corretta, non essendo il richiedente in possesso dei requisiti per ottenere la tutela. La Cassazione annulla però l’espulsione e chiarisce che così agendo gli organi dell’amministrazione «hanno di fatto impedito al ricorrente di ottenere dall’unico soggetto a ciò deputato (la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale) la verifica delle condizioni di ammissibilità (e di eventuale fondatezza) della domanda che egli aveva intenzione (oltre che pieno diritto) di avanzare».
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