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Piccoli Comuni a rischio crac: un ente su quattro schiacciato dai debiti

Una settimana di battaglia sul cosiddetto «salva-Roma» ha infiammato il dibattito politico e sui giornali su un problema che non c’è. E ha fatto dimenticare il problema che c’è. Quello che non c’è è una presunta crisi del debito comunale, la cui esplosione metterebbe in pericolo i conti pubblici. Bene: si dà il caso che nell’Italia stra-indebitata il passivo dei Comuni sia sceso negli ultimi anni del 17,1% tondo, passando dai 48,6 miliardi del 2011 ai 40,3 miliardi del 2018 (fonte Tesoro). Oggi, insomma, nei bilanci comunali c’è l’1,75% del debito pubblico italiano: era il 2,6% nel 2011.

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Il problema che c’è, praticamente ignorato negli ultimi giorni nonostante la fulminea passione generalizzata per la finanza locale, è invece il peso del debito sui bilanci di molti piccoli Comuni. La questione vale poco in valore assoluto, ed evidentemente anche in termini politici. Ma strozza i conti di quasi duemila enti locali sotto i 5mila abitanti: un Comune ogni quattro, insomma, è schiacciato dal proprio debito.

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Un po’ di conti
A dirlo è un indicatore semplice, calcolato dall’Ifel: il costo annuale del debito, alimentato dal rimborso di quote capitale e interessi, in rapporto alla spesa corrente. In 1.883 piccoli Comuni, cioè nel 37,8% degli enti fino a 5mila abitanti nell’Italia a Statuto ordinario più la Sicilia e la Sardegna, il servizio annuale al debito assorbe più del 12% della spesa corrente complessiva: in 659 di queste micro-amministrazioni, il peso supera il 18%. Cioè: ogni 100 euro di spesa totale, dal personale agli acquisti, più di 18 finiscono in rate sul debito. In media, sotto i mille abitanti il debito costa 116 euro all’anno a residente, fra mille e 5mila abitanti vale 83 euro pro capite mentre basta superare questa soglia demografica per vedere il pro-capite scendere intorno a quota 60. Ovvio, in un quadro come questo, che per sviluppare davvero qualche servizio resti pochissimo.

PICCOLI COMUNI A RISCHIO DI CRACK
Incidenza del debito sulla spesa corrente dei Comuni. Dati 2016 (Fonte: elaborazioni IFEL su dati Ministero dell'Interno. Campione: 7.215 enti su 7.415 - escluse Regioni a statuto speciale del Nord)

Per avere un’idea più chiara della questione basta pensare al fatto che nel conto economico consolidato della Pa, che comprende le amministrazioni centrali, regionali e locali, il super-debito italiano assorbe il 7,9% della spesa corrente complessiva, cioè 63,98 miliardi su 812,6 (dati 2019 nel Def appena approvato). Se un bilancio pubblico così indebitato dedica agli interessi meno dell’8% della spesa, è evidente che un ente che gira alla stessa voce il 12 o il 18% delle uscite correnti ha un problema serio. E spesso, nei piccoli bilanci dei mini-enti, a generarlo basta un mutuo, o un gruppo di mutui accesi in un passato lontano quando gli interessi erano più alti.

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Norme e politica
Non è del tutto esatto dire che la politica si è dimenticata di questo tema. Si è dimenticata, per ora, di risolverlo. Il dossier è già finito sul tavolo del governo, e ha prodotto due norme. La prima è scritta al comma 961 dell’ultima legge di bilancio, e prevede la possibilità di rinegoziazione dei mutui accesi con Cassa depositi e prestiti prima del 2003 e poi passati al ministero dell’Economia. È una mossa parziale, perché riguarda 2,2 miliardi complessivi in tutti gli enti locali, ma può dare una mano: ma il decreto attuativo dell’Economia, atteso entro il 28 febbraio, non è arrivato.

Un’altra norma punta a un obiettivo più generale. Si tratta dell’articolo 11-bis, comma 3 del decreto semplificazioni, convertito a febbraio, in cui si prevede la creazione di un tavolo tecnico-politico fra ministero dell’Economia, Viminale e amministratori locali con il compito di «formulare proposte per la ristrutturazione del debito locale». A segnalare l’urgenza del tema ci sono i tempi record previsti per l’istituzione del tavolo, che avrebbe dovuto vedere la luce «entro dieci giorni». Ma due mesi e mezzo dopo, non è successo nulla.

Ora la questione tornerà al centro con il passaggio parlamentare del decreto crescita. Alla vigilia delle amministrative in quasi 3.900 Comuni su 8mila, Lega e M5s hanno ingaggiato una battaglia su chi si dimostra più attento alle esigenze comunali. Ma finora la competizione interna alla maggioranza sul «salva-Roma» e non solo ha impedito passi in avanti reali.

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