Demolizioni e ricostruzioni edilizie più agevoli con le norme del decreto sblocca cantieri, il 32/2019, convertito in legge e in attesa di pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale». Le innovazioni riguardano anche le distanze da rispettare, nelle zone più edificate: tra edifici separati da strade si potranno derogare le distanze di 5-10 metri.
In tempi brevi (peraltro, non definiti), Regioni e province potranno introdurre, con leggi e regolamenti, deroghe al regime delle distanze e degli standard urbanistici previsti dal Dm 1444/1968. Nella versione originaria, quindi già in vigore da aprile, l'articolo 5 del Dl 32 innova il concetto di demolizione e ricostruzione contenuto nel testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001): oggi, la ricostruzione è «comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo».
Questa previsione del decreto-legge è stata confermata in sede di conversione, con la conseguenza che lo Stato interviene, con un principio chiaro e generale, sui vari casi di rigenerazione, razionalizzazione, riqualificazione di aree e tessuti edilizi.
Per comprendere cosa abbia modificato il legislatore, occorre partire dall'articolo 3 del Testo unico edilizia (380/2001), che identificava la ristrutturazione nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico a quello preesistente (fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica), cioè con eguale sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali. Nel 2001 il legislatore usava un concetto rafforzato, esigendo una ricostruzione «fedele» per realizzare un fabbricato «identico a quello preesistente». Nel 2002 (Dpr 301) la ristrutturazione è stata resa possibile con «stessa volumetria e sagoma» dell'edificio ristrutturato, accantonando il riferimento all'area di sedime, alla caratteristiche dei materiali e alla “fedeltà” nella ricostruzione. Nel 2013 (Dl 69, convertito nella legge 98) è venuto meno il riferimento alla sagoma, con la conseguenza che si restava nel concetto di ristrutturazione (e non di nuova costruzione) anche senza identità di sagoma, di sedime, di materiali, e senza la generica fedeltà edilizia. In questo regime si sono moltiplicate le integrali ristrutturazioni nonché le demolizioni ricostruzioni, dapprima parziali (per setti, cioè per singoli segmenti), ma spesso integrali.
Con il nuovo articolo 5, comma 1, lettera b), del Dl 32/2019 il legislatore inserisce un concetto generale, secondo il quale, indipendentemente dalla nozione di “ristrutturazione”, gli interventi di demolizione e ricostruzione“ sono «in ogni caso» e «comunque» consentiti, se rispettano le distanze legittimamente preesistenti nonché se vi sia coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo. La collocazione della norma del 2019 ha un suo peso, perché si modifica una norma (articolo 2 bis del Dpr 380/2001) che riguarda i limiti di distanza tra fabbricati. Quindi, il legislatore del 2019 ha innovato una normativa che risaliva al 1968 (Dm 1444) e che per cinquant'anni ha condizionato gli interventi di demolizione e ricostruzione.
In particolare, il Dm del 1968 è stato ritenuto “norma inderogabile” per tutti i casi di nuova costruzione, imponendo ai nuovi edifici, ricadenti in tutte le zone diverse dai centri storici, una distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. L'obbligo di rispettare la distanza di 10 metri (o superiore, in proporzione all'altezza degli edifici) ha rappresentato un fortissimo limite alle demolizioni e ricostruzioni in aree già edificate: tutte le volte che si prevedeva la demolizione e ricostruzione di un singolo edificio, incombeva lo spettro del rispetto di una distanza di almeno 10 metri tra pareti finestrate. Anche se il piano urbanistico locale consentiva una distanza inferiore ai 10 metri, spesso sono sorte contestazioni sulla prevalenza di 10 metri imposti dalla Dm del 1968, in contrasto con le più permissive norme urbanistiche locali. In materia di distanze, si scontravano poi concetti tecnici ed istituti giuridici: una distanza inferiore a quella prevista dalla legge (minimo 3 metri, articolo 873 del Codice civile, 10 metri nel Dm 1444), genera una servitù, cioè una situazione che dopo vent'anni comunque si consolida a vantaggio del fondo “dominante”. Una volta consolidatasi per il decorso del ventennio, la servitù (cioè la possibilità di mantenere l'immobile a distanza inferiore a quella di legge) non viene meno qualora si demolisca il manufatto, tutte le volte che poi lo si ricostruisca alla stessa distanza. Tuttavia, la demolizione con ricostruzione ha sempre rappresentato un rischio, in quanto i tempi di esecuzione dell'intervento esigono una fase in cui l'edificio viene demolito senza immediata, istantanea integrale ricostruzione: in tale fase i dubbi dell'amministrazione comunale o l'intervento dei vicini rischia di incidere profondamente sulla costruzione, quanto meno ritardandola.
Le liti più frequenti sulla materia erano arrivate a conclusioni favorevoli agli interventi sostitutivi: da ultimo il Consiglio di Stato, con sentenza 23 aprile 2018, n. 2448, scorpora l'intervento edilizio distinguendo tra consistenza originaria del fabbricato ed intervento di ampliamento con sopraelevazione realizzato sullo stesso fabbricato. Se infatti si demolisce, ricostruendo poi con un ampliamento, occorre considerare la collocazione dell'ampliamento stesso, che non può violare le distanze; invece il volume demolito e meramente ricostruito, può restare nella stessa collocazione precedente, consolidatasi.
Tornando quindi alle innovazioni contenute nella legge del 2019, ora è sancito che si può sempre demolire e ricostruire con le stesse distanze preesistenti, se si assicura la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito rispetto a quello demolito (articolo 2 bis del Dpr 380/2001, modificato dal Dl 32/2019).
Sempre in tema di distanze, la legge di conversione del decreto-legge 32/2019 prevede che i limiti di distanza tra fabbricati separati da strade pubbliche (attualmente da 5 a 10 metri) vadano rispettati solo nelle zona “C” del Dm 1444/1968, cioè nelle zone destinate a nuovi complessi insediativi o con densità superiore ad un ottavo della superficie fondiaria della zona. Finora tali distanze minime si applicavano anche nelle zone “ B “ (totalmente o parzialmente edificate). Questa modifica consente, retroattivamente (sanando anche il contenzioso), che i titoli edilizi relativi alle zone “B” (quelle più edificate) possano prevedere distanze tra fabbricati anche inferiori a quanto previsto dal Dm del 1968.
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