Prosegue il confronto sulle specializzazioni dei commercialisti, lanciato sabato 1° giugno dal presidente del Cndcec, Massimo Miani, in un’intervista al Sole 24 Ore. Per inviare commenti si può usare la casella di posta elettronica: ilmiogiornale@ilsole24ore.com
Il test «Albo delle specialità»
Sono molto grato al presidente Miani per la proposta per le specialità professionali. Per quanto mi riguarda è una battaglia di retrovia sostenere che «la specialità mortifica la professione» e bisogna smettere di pensare che «tutti fanno tutto».
Nel 2006 l’Ordine di Pavia avviò una Commissione che pose la domanda: a chi serve sapere di cosa ci occupiamo? La risposta fu abbastanza semplice: le richieste di consulenza pervenivano da due macro aree: i singoli privati e le imprese. Si pensò di identificare i vari campi di azione nei quali il dottore commercialista svolgeva l’attività consulenziale e quella dei servizi. Furono individuate «Aree di specialità». Si convenne che ciascun iscritto non potesse optare per più di tre aree. Si formalizzò una delibera, assunta il 21 marzo 2006 durante l’annuale assemblea degli iscritti, che – approvata all’unanimità da tutti i presenti – prevedeva la stampa di un allegato all'Albo denominato «Aree di specialità». Vi erano elencate undici aree ed una dodicesima «residuale» per particolari settori poco «praticati». Si pensò anche che tale attestato sulla acquisizione della specialità potesse essere fornita dalla Saf (Scuola di alta formazione) a cui l’Ordine di Pavia aveva dato vita.
Questo prototipo di Albo delle Specialità fu in effetti poi stampato, e non per un solo anno. Quali furono gli effetti di quella pubblicazione? La segreteria dell’Ordine pavese, quando veniva richiesta, ad esempio, di fornire il nominativo di un commercialista specializzato in «procedure concorsuali», forniva l’elenco degli iscritti a quell’area specialistica con soddisfazione dell’utenza, che gradì l’iniziativa, e naturalmente dei colleghi contattati. Da anni qui a Pavia non si stampa più questo elenco che aveva una grave pecca, l’autoreferenzialità: non ha senso l’autocertificazione, ma senza dubbio è stato uno sforzo per far crescere la professione proiettandola verso una più elevata considerazione sociale.
Si è perso tempo (si parla di anni) discutendo delle opportunità offerte dall’Albo Unico, argomento che qui non è oggetto
di discussione, ed ora bisogna avere il coraggio di recuperare il tempo perduto e difendere il sistema ordinistico che esiste
a tutela dei terzi e dei fruitori delle consulenze e servizi erogati (magari con una più puntuale osservanza del Codice Deontologico).
Le esclusive non sono delle “riserve” entro cui cacciare, ma la clientela viene attratta, più che dalla organizzazione dello
studio e dall’esibizione di certificati di qualità, dalla preparazione, dalla obiettiva valutazione del problema, dalla assoluta
indipendenza e terzietà e, non ultimo, dall’eticità dell'agire posta in essere dai singoli professionisti.
- Lucio Aricò (Pavia)
Mettiamoci in discussione
Il tema delle specializzazioni deve essere inserito, a mio avviso, in una cornice più ampia che tenga conto delle complessità e correlative responsabilità che periodicamente aumentano in capo alla categoria.
Il segnale che viene da questa riforma in discussione è forte: le professioni non si limitano ad esercitare funzioni delicatissime sulla base di un diritto acquisito dall’iscrizione ad un Albo, ma sono disposte a mettersi in gioco ogni giorno garantendo continua formazione, aggiornamento e grande livello tecnico. Questo dovrebbe portare anche a riconsiderare anche il sistema sanzionatorio, civile e penale, che prevede spesso una corresponsabilità dei professionisti per fatti non propri, di tipo solidale e senza alcun limite.
-Alfredo Pascolin (presidente Odcec Gorizia)
© Riproduzione riservata