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Cedolare secca, affitti brevi e Imu: cosa cambia con il decreto crescita

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Cedolare secca, affitti brevi e Imu: cosa cambia con il decreto crescita

Dalla cedolare secca all’Imu, dagli affitti brevi alle case in comodato, il decreto crescita interviene su diversi punti del fisco immobiliare. Vediamo le principali novità introdotte nel corso della conversione (il Dl 34/2019 approvato con la fiducia dal Senato giovedì 27 giugno).

Conferma della cedolare secca
Addio alle sanzioni per chi si dimentica di confermare l’opzione per la cedolare secca sugli affitti al momento della proroga del contratto (ad esempio, quando inizia il secondo quadriennio in un contratto di locazione “4+4”). Il decreto crescita nella rubrica dell’articolo 3-bis parla di «Soppressione dell’obbligo di comunicazione della proroga del regime della cedolare secca». In realtà, viene solo cancellata la norma che prevede le sanzioni (100 euro ridotti a 50 entro i primi 30 giorni). È chiaro, però, che a questo punto la mancata presentazione del modello Rli per confermare la cedolare non comporterà più la decadenza dal regime (già eliminata per legge dal 2016), né la multa. Si ritiene che l’eliminazione valga anche per il passato, in virtù del favor rei.

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Il codice per gli affitti brevi
Prevista la creazione di una banca dati pubblica delle strutture ricettive e degli immobili destinati all’attività di locazione breve. Alcune Regioni come la Lombardia e la Sardegna, lo hanno già fatto. Ma l’obbligo è generalmente contestato dai proprietari. I dettagli applicativi sono affidati a un decreto ministeriale da adottare entro 30 giorni dalla conversione. Comunque ogni struttura o casa locata dovrà avere un codice identificativo e dovrà usarlo «in ogni comunicazione inerente all’offerta e alla promozione dei servizi all’utenza». Lo stesso codice dovrà essere usato anche dai gestori di portali internet e dagli agenti immobiliari. Per chi non si adegua, sanzioni da 500 a 5mila euro, maggiorate del doppio in caso di reiterazione.

Imposte e morosità degli affitti
Viene ritoccata anche la norma (articolo 26 del Tuir) secondo cui i redditi fondiari sono tassati in base alla “maturazione” e non alla “effettiva percezione”. È la disposizione in virtù della quale i possessori di immobili locati pagano anche sul canone non incassato, finché non viene risolto il contratto. Per gli affitti abitativi, si può “smettere” di pagare le tasse solo da quando si conclude il procedimento giurisdizionale di convalida dello sfratto per morosità del conduttore. L’unica consolazione è che il locatore matura un credito d’imposta in relazione alle tasse pagate su canoni che il giudice accerta non essere stati incassati. Ma occorre aspettare l’iter giudiziario, per l’appunto. Questa regola continua a valere per tutti i contratti stipulati quest’anno. Per quelli siglati dal 1° gennaio 2020, invece, il decreto crescita prevede la possibilità di non versare le imposte sui canoni la cui mancata percezione sia «comprovata dall’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento».

Al Fisco i dati sugli inquilini
Sempre per gli affitti brevi, viene previsto – anche qui con norma ancora da attuare – che i dati comunicati dai locatori alla Polizia di Stato saranno forniti all’agenzia delle Entrate dal ministero dell’Interno (in forma anonima e aggregata per struttura ricettiva). Il Fisco potrà usarli per controllare il pagamento delle imposte. E li comunicherà ai Comuni che potranno verificare il versamento dell’imposta di soggiorno.
Ancora in tema di affitti brevi, scatta la responsabilità in solido per la ritenuta fiscale sugli affitti brevi da parte dei soggetti residenti in Italia, che facciano parte di uno stesso gruppo e per il quale non sia stato nominato il rappresentante fiscale in Italia. È una norma che si inserisce nella querelle con alcuni portali internazionali, compreso Airbnb, che attualmente non applicano la ritenuta prevista dalla manovra di primavera di due anni fa (Dl 50/2017).

Dichiarazione Imu
Il termine per presentare la dichiarazione Imu slitta al 31 dicembre dell’anno successivo a quello cui si riferiscono i dati da comunicare. Attualmente, il termine è invece il 30 giugno. Inoltre, viene eliminato l’obbligo di presentare la dichiarazione Imu per chi vuole (e può) beneficiare della riduzione del 50% Imu e Tasi sulle case date in comodato, cioè in prestito gratuito, ai figli o ai genitori. D’altra parte, in questi casi il comodato va registrato alle Entrate.

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Contratti a canone concordato: dichiarazione e «bollino»
Il decreto crescita prevede anche l’eliminazione dell’obbligo della dichiarazione Imu per le case affittate a canone concordato (che beneficiano di uno sconto statale del 25% su Imu e Tasi e, in molte città, hanno aliquote comunale ridotte). Per questi contratti, però, istruzioni ministeriali alla mano, la dichiarazione non è obbligatoria già oggi. Più interessante l’eliminazione di «qualsiasi altro onere di dichiarazione o comunicazione», perché per questi contratti spesso i Comuni pretendono comunicazioni di vario genere. Resta invece l’obbligo di “bollinatura” (attestazione) per i contratti a canone concordato stipulati con il fai-da-te, senza l’assistenza delle associazioni di categoria.

Contratti a canone concordato: la proroga del «+2»
Sempre per i contratti agevolati, una norma interpretativa chiarisce cosa succede se il contratto prosegue dopo il “3+2” (punto spesso oggetto di interpretazioni divergenti): il decreto prevede che, in assenza di disdetta, il contratto viene «rinnovato tacitamente, a ciascuna scadenza, per un ulteriore biennio». Lo schema è quindi “3+2+2...” e così via.

Imu sui fabbricati delle imprese
L’Imu sugli immobili strumentali, come i capannoni, diventa deducibile dal reddito d’impresa (la Tasi lo è già). Ma solo dal 2023. Prima di allora, la percentuale di deduzione ammessa crescerà gradualmente:
- 50% per l’Imu versata quest’anno (tecnicamente, il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018);
- 60% nel 2020 e 2021;
- 70% nel 2022;
- 100% dal 2023.

Tasi sui «beni merce»
È prevista l’esenzione dalla Tasi, ma solo a partire dal 2022, per i beni merce dei costruttori. Si trtta dei fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, «finché permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati».

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