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Questo articolo è stato pubblicato il 03 luglio 2010 alle ore 10:06.
Berlusconi non ha detto molto, il minimo indispensabile, ma ha mandato il segnale che ci si attendeva. Ha fatto l'unica cosa plausibile nelle attuali circostanze: si è caricato sulle spalle il peso della maggioranza e delle contraddizioni che l'agitano. Il classico «ci penso io», pronunciato in milanese, rimanda agli albori della sua stagione politica. Allora, nel '94, era una sorta di grido di battaglia: un imprenditore lombardo, dinamico e spregiudicato, prometteva che avrebbe preso nelle sue mani il destino del paese, per ricucire i fili spezzati dal collasso della Prima Repubblica.
Sedici anni dopo siamo ancora allo stesso punto. "Ghe pensi mi" vuol dire riaffermare una leadership un po' usurata da troppi errori e da eccessive distrazioni rispetto ai nodi politici decisivi. Ma non ci sono alternative a questa ennesima discesa in campo, visto che il Pdl da sempre è Berlusconi e anzi non riesce a essere altro che Berlusconi. Nel senso che il partito coincide con il fondatore, al quale tutto e tutti fanno riferimento. Ne sa qualcosa Gianfranco Fini, l'altro cofondatore che, come ci fa sapere ogni giorno, non si è mai trovato a suo agio nella problematica "casa comune".
Tuttavia, il fatto che il vecchio capo debba ancora una volta "pensarci lui" non è una buona notizia per lo stato di salute del governo e della coalizione. Si dimostra una volta di più che non è mai nato in questi anni un gruppo dirigente: tutti si aspettano che il padre-padrone intervenga a risolvere i problemi. E in effetti l'intervento annunciato è un po' quello che tutti avevano richiesto di fronte al sorprendente inasprirsi delle tensioni: dai governatori delle regioni, ai giornali, in un certo senso allo stesso presidente della Repubblica.
Intervenga Berlusconi per trovare il compromesso sui tagli della manovra economica, sull'assurdo caso del ministro fantasma Brancher, sul pasticcio delle intercettazioni che tanto ha infastidito Napolitano. È probabile che solo il premier possa restituire un po' di equilibrio alla maggioranza ed evitare, se non altro, che si apra un conflitto con la presidenza della Repubblica. Niente nelle interviste del presidente del Consiglio autorizza a pensare che egli voglia alimentare i dissapori con il capo dello Stato. Al contrario, quel "ghe pensi mi" ha il sapore di un tentativo di riconciliazione.