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I ricercatori universitari contro la riforma Gelmini: «O cambia o proseguiremo la protesta»

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2010 alle ore 19:34.

I ricercatori universitari chiedono alla Camera di modificare il Ddl Gelmini e annunciano battaglia: «se non avremo risposte positive, continueremo a dichiararci indisponibili alla didattica, l'unico strumento di protesta che abbiamo», hanno sottolineato ieri in audizione alla commissione Cultura di Montecitorio, dove è alle battute conclusive l'esame della riforma degli atenei. Il Governo per ora prende appunti e attraverso la relatrice al Ddl, Paola Frassinetti (Pdl) risponde che la via maestra per sbloccare la situazione dei ricercatori, che a causa della riforma rischiano di rimanere incastrati in questo ruolo a vita, passi attraverso i concorsi, che però in molti atenei sono bloccati per via della carenza dei fondi.

Ma non è escluso, ha aggiunto Frassinetti, che presenterò emendamenti al provvedimento, concordati con il ministro Gelmini", probabilmente direttamente in aula, dove il testo dovrebbe approdare il 4 o il 5 ottobre. Del resto, ha aggiunto, la discussione sul provvedimento è stata «ampia e approfondita e ha visto prender parte agli interventi anche diversi deputati di altre commissioni». Saranno emendamenti «poco significativi», hanno commentato i rappresentati della Rete 29 aprile, Guido Mula e Alessandro Ferretti e «diciamo "no" pure ai concorsi contentino», che non risolveranno il problema delle università, ma serviranno solamente, rincarano la dose, «a mettere a tacere un dissenso che coinvolge più di 40 atenei e circa 10mila ricercatori che si sono rifiutati di fare didattica».

«La riforma Gelmini è una legge importante», ha evidenziato il coordinatore del Cnru, Marco Merafina, ma ci deve essere «un segnale di apertura alle nostre istanze, che non sono solo i concorsi». Per sistemare 15-16mila ricercatori, la platea che secondo il Cnru ha i requisiti per passsare in seconda fascia, evidenzia Merafina, «ci vorrebbe almeno un miliardo". La nostra proposta è più conveniente: attribuire l'abilitazione ad associato solo ai più bravi e che «hanno fatto didattica certificata dalle facoltà per almeno sei anni e che mostrano di essere attivi nella ricerca superando i requisiti minimi scientifici già definiti dal Cun». Anche l'Adi, l'Associazione dottorandi e dottori di ricerca, in un documento presentato alla commissione parlamentare, ha avanzato alcune proposte di emendamento, come «l'introduzione di una rappresentanza dei dottorandi negli organi di vertice dell'Ateneo» e «la valorizzazione del titolo di dottore di ricerca».

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L'associazione 20 maggio critica aspramente, invece, «la precarizzazione della figura del ricercatore» prevista dal Ddl: «i nuovi contratti a tempo determinato - spiegano dall'associazione- non ha nulla a che vedere con la tenure track dei paesi anglosassoni, casomai dovrebbe essere chiamata tenure trash. Si produrrà un più numeroso e incerto precariato». Preoccupazione condivisa, questa, anche dall'Air, l'associazione della ricerca, che chiede piani di assunzioni certi «che indichino in prospettiva i numeri di quanti dovranno essere gli ordinari, gli associati e i ricercatori».

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