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Berlusconi tenta la rivoluzione del Pdl tra simbolo e territorio

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 ottobre 2010 alle ore 20:26.

Che il Cavaliere abbia in animo di rivoluzionare il partito è storia arcinota. Tanto che già a luglio Silvio Berlusconi aveva provato ad archiviare l'attuale triumvirato che guida il Pdl (Verdini-La Russa-Bondi) sostituendolo con tre nuove leve, il ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini, il collega della Giustizia, Angelino Alfano e Giorgia Meloni, a capo del dicastero della Gioventù. La vecchia guardia berlusconiana, però, insorse e non se ne fece più nulla. Così come non sfondò, poco dopo, l'altro progetto del Cavaliere: azzerare i tre coordinatori e affidare le redini del partito alla sola Gelmini.

Ora, però, di riassetto si torna a parlare con insistenza. Anche perché le parole pronunciate da Berlusconi nel messaggio alla Dc di Gianfranco Rotondi («se la gente è delusa lo si deve agli errori del Pdl e non del governo») sono sembrate a tutti una strigliata bella e buona, nonostante il tentativo del sottosegretario Paolo Bonaiuti di ridimensionarne la portata, accollando a Fini e ai suoi la responsabilità della delusione evocata dal Cavaliere. Ma ai piani alti di via dell'Umitltà il clima che si respira è molto diverso. «Al premier - ammette un berlusconiano doc con il Sole24ore.com - del partito importa poco o nulla. Se fosse per lui lo chiuderebbe domani mattina. Lo ha sfruttato finché gli è stato utile e lo ha fatto anche ora cercando di deviare l'attenzione dal governo, che sta perdendo consensi».

Insomma, una mossa ad hoc che nasconde comunque la volontà di cambiare qualcosa. Non i tre coordinatori, la cui cacciata «spaccherebbe il partito creando ancor più scompiglio», è l'analisi ricorrente tra i fedelissimi del premier. Ma agendo sulla periferia dove il Cavaliere ha le idee chiarissime: affidare la nomina dei coordinatori locali agli eletti del Pdl, dai consiglieri regionali a quelli comunali. Che, si fa notare, «sono ancora espressi senza liste bloccate e dunque sono la reale manifestazione della volontà degli elettori». E qualcuno tira in ballo, non a caso, il nome dell'ex ministro Claudio Scajola, formidabile macchina da guerra quando si tratta di mettere mano al Pdl e che potrebbe assumere la guida della "rivoluzione del territorio". Di cui si parlerà nel prossimo ufficio di presidenza, che era stato convocato già questa settimana e che, a causa dell'operazione subita dal Cavaliere, è stato poi rimandato.

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Quanto al resto, simbolo in testa, per ora il premier non ci pensa. O meglio non inserisce il cambio del logo del Pdl tra le priorità. Ma è chiaro che l'affrancamento del partito del predellino da Gianfranco Fini e dai suoi passa anche da qui. Soprattutto se si dovessero creare le condizioni per una guerra legale attorno al simbolo. Che il premier vuole evitare a tutti i costi. Anche perché di battaglie attorno ai loghi se ne sono combattute, soprattutto tra i partiti collegati alla maggioranza. Basti ricordare quella sorta attorno al simbolo della Democrazia cristiana tra Giuseppe Pizza, che continua a detenere lo storico logo, il ministro Gianfranco Rotondi e il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini. Con questi ultimi costretti a dire addio al simbolo della casa madre. Per non parlare poi dello scontro vivacissimo sorto dentro la pattuglia di Futuro e Libertà attorno al nuovo simbolo del partito di Fini, con falchi e colombe a disputarsi la scelta del futuro logo. Perché in tempo di pace il simbolo non è tutto. Ma in guerra si combatte anche per questo.

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