Il Sole 24 Ore
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A Cancun mini-accordo sul clima

Marco Magrini



CANCUN. Dal nostro inviato
«Dopo questa conferenza, abbiamo piena fiducia nel meccanismo multilaterale». Quando in Messico sono suonate da poco le 4 del mattino, Zie Xenhua, il capo della delegazione cinese, esprime tutta la sua diplomatica soddisfazione per l'esito finale del vertice climatico di Cancun. Un vertice che non resterà negli annali della Storia, perché il testo approvato non spalanca certo le porte alla riconversione del sistema energetico mondiale, né risponde agli allarmi della comunità scientifica. Ma che è riuscito a salvare la faccia del multilateralismo.
Quando intorno a mezzanotte la Bolivia annuncia che non voterà mai il documento redatto a fatica in due settimane di negoziati, negli occhi dei delegati si legge la paura di un altro flop irreparabile: il salvataggio in corner dell'anno scorso, quando invece di un voto in assemblea ci si rifugiò nel Copenhagen Accord – redatto in una stanzetta da Barack Obama, i leader europei e quelli dei paesi “Bric” – non era politicamente ripetibile. Solo così, con il nervosismo, si può spiegare il gran fragore dell'applauso di quattro ore dopo, quando i delegati di 192 paesi (tutti, fuorché la Repubblica di Evo Morales) decidono di uscire da quell'aula con una buona notizia da portare ai rispettivi capi di Stato, che stavolta avevano disertato. Il pianeta non è salvo. La faccia sì.
A Copenhagen ci si aspettava la firma di un nuovo trattato internazionale capace di imbarcare anche i paesi emergenti (che con il Protocollo di Kyoto non hanno obblighi al taglio delle emissioni), col risultato che quel vertice è rimasto sepolto sotto il peso delle proprie ambizioni. Al contrario, è la sostanziale assenza di ambizioni ad aver determinato il non-insuccesso di Cancun. «Già alla vigilia sapevamo che l'obiettivo di un trattato non era alla portata di questo vertice – dice Connie Hedegaard, la commissaria europea per il clima, mentre fuori sorge il sole – ma alla fine quel che conta è la volontà comune di limitare l'aumento della temperatura media planetaria entro i 2 gradi», che gli scienziati considerano la soglia di rischio. «Le decisioni prese oggi trasferiscono quegli impegni nel sistema delle Nazioni Unite».
Il riassunto è bell'e fatto: il vertice di Cancun ha semplicemente incorporato nel sistema multilaterale dell'Onu il Copenhagen Accord, che (firmato da 80 paesi) proprio multilaterale non era. Basta dare un'occhiata alle decisioni prese ieri. Nasce un «Green Climate Fund» da 100 miliardi di dollari all'anno dal 2020 (ma solo 30 nel primo triennio), per aiutare le nazioni in via di sviluppo ad adattarsi ai cambiamenti climatici e a ottenere tecnologie pulite. È il primo punto del Copenhagen Accord. L'unica novità è che sarà provvisoriamente gestito dalla Banca mondiale. Poi viene istituito un Comitato tecnologico per valutare le opzioni in campo e anche un Centro per la tecnologia climatica che cercherà di imbastire un network planetario, dove incrociare domanda e offerta di soluzioni avanzate per il controllo delle emissioni.
È confermato, ma senza dettagli, il programma Redd+ per arrestare la deforestazione nei paesi tropicali, che contribuisce considerevolmente al riscaldamento planetario perché depriva il pianeta di alberi che assorbono naturalmente l'anidride carbonica. Poi – come a Copenhagen – si auspica un taglio delle emissioni «fra il 25 e il 40%» ma solo con impegni volontari. «Gli Stati Uniti – ha detto il capo delegazione Todd Stern, parlando in realtà all'opposizione repubblicana in Congresso – non avrebbero mai accettato un accordo che non includesse Cina e India», le due potenze emergenti anche nei gas-serra.
L'unica vera novità sta nei meccanismi un po' più stringenti per il controllo e la verifica dei risultati ottenuti, col solito auspicio che i tagli alle emissioni serra «diventino più ambiziosi». Non a caso, il ministro inglese all'Energia e il Clima, Chris Huhne, ha detto che «questa intesa rende più probabile l'impegno europeo per tagli del 30% entro il 2020», contro il 20% attualmente previsto. Il pianeta è un po' più caldo. Ma anche un po' più multilaterale.
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I CONTENUTI

L'accordo sollecita «profondi tagli» nelle emissioni di anidride carbonica responsabili dell'effetto serra, per frenare l'aumento delle temperature a non più di 2 gradi Celsius sopra i livelli pre-industriali; chiede uno studio su un rafforzamento dell'obiettivo (a 1,5 gradi), sollecitando i paesi ricchi a ridurre le emissioni dal 25 al 40% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990 (ma questo passaggio è in un gruppo di lavoro sul Protocollo di Kyoto, e quindi non coinvolge gli Usa, che non hanno mai firmato il trattato); accetta di studiare nuovi meccanismi per aiutare le nazioni in via di sviluppo a ridurre le emissioni di anidride carbonica

L'accordo dà vita a un nuovo organismo internazionale, il Green Climate Fund, per amministrare il denaro destinato dai paesi ricchi alle nazioni più colpite dai cambiamenti climatici. La Ue, il Giappone e gli Usa si sono impegnati a donare 100 miliardi di dollari all'anno a partire dal 2020, insieme a 30 miliardi in aiuti urgenti per il 2010-2012. La gestione del fondo viene affidata per i primi tre anni alla Banca Mondiale. Si crea un direttorio composto da 24 paesi membri (scelti in maniera paritaria tra nazioni sviluppate e in via di sviluppo, insieme a esponenti dei piccoli stati insulari più a rischio per i cambiamenti climatici) che gestiranno il Green Climate Fund

L'accordo dà ampio sostegno agli sforzi volti a ridurre la distruzione delle foreste; chiede ai paesi in via di sviluppo dei piani anti-deforestazione, e a tutte le nazioni di rispettare i diritti delle popolazioni indigene.
Inoltre è stata rimandata la decisione su una seconda fase o meno del Protocollo di Kyoto, che scade nel 2012. Solo una dilazione dunque, ma è stato evitato il naufragio dei negoziati (con la sola opposizione della Bolivia, che ha votato contro e ha già preannunciato un ricorso presso «tutte le istanze internazionali»). Il prossimo appuntamento è fissato al vertice in Sudafrica per la fine del 2011

RIDURRE I GAS SERRA DEL 25-40% ENTRO IL 2020


UN GREEN CLIMATE FUND PER I PAESI A RISCHIO


IMPEGNO A COMBATTERE LA DEFORESTAZIONE