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Notizie Medio Oriente e Africa

La rivoluzione in Libia vista dagli occhi dell'inviato Twitter

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2011 alle ore 10:43.

«Gli squadroni della morte di Gheddafi stanno continuando a spargere sangue per le strade di Tripoli». Scrive intorno alle 9 di mattina l'utente Kiran Joshi. «A Tripoli c'è aria minacciosa», assicura Jon Williams, 35 secondi dopo il messaggio di Joshi. Quasi in contemporanea Novi scrive: «In molti cominciano ormai a paragonare Bengasi ad Auschwitz». Sono le voci per strada. Fuori dal coro istituzionale che dice che è tornata la calma nelle città della Libia. Fuori onda dei video con tanto di indici puntati sullo schermo di Gheddafi and sons.

Le voci che vengono da Twitter, il social network che ha aiutato gli egiziani a organizzare la protesta contro il regime di Hosni Mubarak e che, secondo molti opinionisti internazionali, sta avendo un ruolo determinante nel rapido dipanamento delle rivolte a macchia di leopardo dal Nord Africa all'Asia.

A Mezzogiorno però la tensione per le strade della Libia sembra meno pressante rispetto alla drammatica giornata di ieri. L'utente Manuel Sardo indica che i manifestanti nell'Est della Libia hanno chiamato un milione di uomini in marcia. Wais, intorno alle 13, racconta che la polizia sta continuando a usare gas lacrimogeni contro la folla.

Non è un caso se, proprio sulla bacheca multimediale di Twitter, lo scorso week end è stata annunciata la "Rivoluzione dei gelsomini" in Cina. E non è un caso se Pechino ha ulteriormente stretto i cordoni della la censura, temendo un contagio mediorientale. Facebook, Twitter e i social network che consentono la condivisione di messaggi istantanei, si sa, sono bloccati nella seconda economia del pianeta. Al blocco si sono aggiunti anche gli sms inviati dai cellulari contenenti "tag pericolosi", quali "Jasmine Revolution", "Egypt" e compagnia bella.

Nella piazza di Twitter si organizzano manifestazioni, si raccontano notizie raccolte al bordo di una strada. Si scoprono dei retroscena che possono aiutare, chi sta dall'altra parte, a visualizzare i contorni di questa ondata di ribellioni e golpe che stanno cambiando il volto del Medio Oriente. Come quello descrito da Ali Tweel: «Ci sono code alle pombe di benzina per fuggire da Tripoli».

Ma su Twitter c'è anche chi prega per le vittime, oltre 1.000 in Libia secondo le fonti ufficiali. «Stasera pregate per il popolo della Libia. Mi fa male il cuore, non solo per gli innocenti. La pace sia con voi», twitta Brendon Health. Il messaggio, insomma, è quello di pregare per tutti perché, scrollando tra le migliaia di post pubblicati dagli utenti, si apprende anche che i medici di Bengasi tagliano naso e orecchie ai soldati che disertano.

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Tags Correlati: Africa del Nord | Ali Tweel | Asia | Cina | Hosni Mubarak | Jon Williams | Kiran Joshi | Manuel Sardo | Mario Novi | Mark Kerry | Società dell'informazione |

 

E si scopre che l'occhio dell'inviato di guerra Twitter è anche cinico. Laddove l'utente Mark Kerry chiede «come si fa a diventare un mercenario a Tripoli».

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