Il Sole 24 Ore
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Dai carri armati di Gheddafi fuoco sui civili di Zawiya

R.Bon.


BENGASI. Dal nostro inviato
«Quanto sangue si dovrà ancora versare prima che la Libia si libererà del dittatore?». Gamal, attivista avvocato di Bengasi, non riesce a dire altro. Ha lo sguardo incollato alla tv. Davanti a lui scorrono le immagini di carri armati che sparano e case avvolte dalle fiamme, mentre l'audio riporta le testimonianze dei civili terrorizzati rimasti intrappolati nell'assedio di Zawiya. Civili uccisi a sangue freddo dai mercenari di Gheddafi, altri travolti dall'artiglieria, altri ancora colpiti dalle pallottole vaganti. Forse 50 morti, soltanto ieri. Al contrario di quanto accaduto in Egitto e Tunisia, la rivolta popolare libica si è trasformata in un sanguinoso conflitto armato, senza regole.
A Bengasi, la capitale della Cirenaica da dove è partita la rivolta, sono sempre di più i cortei funebri che sfilano per la città. Sono i morti del fronte orientale, dove si è combattuto anche ieri. «Sappiamo che dovremmo piangerne molti di più, non ci faremo intimorire», urla un uomo dal megafono. Ma è a occidente di Tripoli, a Zawiya, che la battaglia ha assunto i contorni di una strage. La città, conquistata dai ribelli durante la prima offensiva, è stata teatro degli scontri più duri dall'inizio della rivolta. Gheddafi è ricorso ai carri armati, all'artiglieria pesante e ai razzi Rpg pur di espugnare la città, a soli 50 km da Tripoli. I testimoni sul posto raccontano crimini efferati: «I carri armati hanno sparato contro le case e ora stanno aprendo il fuoco contro una moschea dove si sono rifugiate cento persone. Sono troppi intensi, non possiamo andare a soccorrerli», ha raccontato al telefono all'agenzia Reuters Abu Akeel, un residente.
Eppure la mattina gli insorti, quando avevano visto le milizie di Gheddafi ritirarsi dal centro città, avevano festeggiato la vittoria. Si erano lasciati ingannare; il nemico stava solo organizzando l'assedio per sferrare un violentissimo attacco. Nel pomeriggio, secondo l'emittente al-Jazeera, 35 carri armati si sono posizionati intorno alla città, già circondata dalle truppe governative. Poi il fuoco. La testimonianza del corrispondente di Sky News, l'unico giornalista straniero in città, è drammatica: le milizie di Gheddafi hanno sparato contro le ambulanze che cercano di soccorrere i feriti. Il giornalista ha poi riferito di aver visto i cadaveri di almeno otto soldati e cinque blindati governativi in fiamme nella piazza centrale.
Ma un bilancio è difficile da stimare. Un dottore a Zawiya ha parlato di almeno 30 civili (il numero dei combattenti caduti è difficile da stimare). Civili a volte uccisi a sangue freddo dai miliziani e dai mercenari stranieri al soldo di Gheddafi. Secondo diverse testimonianze sarebbero entrati nelle case, avrebbero aperto il fuoco, e poi avrebbero posizionato i cecchini sui tetti.
Anche davanti all'evidenza i diplomatici fedeli a Gheddafi continuano a minimizzare. In una lettera al Consiglio di Sicurezza dell'Onu il ministro degli Esteri, Mussa Kussa, scrive di «modico» utilizzo della forza contro i manifestanti e chiede la sospensione delle sanzioni.
Sul fronte orientale, intanto, gli insorti continuano la loro avanzata verso ovest. Dopo aver riconquistato venerdì Ras Lanuf, il terminale petrolifero più importante del Nord Africa, ieri si sono spinti fino a Ben Jawad, 30 km più avanti. Le vittime tra l'anarchica armata dei giovani volontari, che ieri hanno dichiarato di aver abbattuto un aereo nemico, sarebbero almeno 12. Da qui verrà sferrata l'offensiva contro Sirte, la città natale di Gheddafi e roccaforte delle sue milizie. Una battaglia decisiva e probabilmente molto sanguinosa.
Il paese sta scivolando verso un conflitto civile la cui durata è difficile da prevedere. Più di 190mila persone sono già fuggite dalle violenze. Decine di migliaia si stanno dirigendo verso la frontiera egiziana, hanno reso noto ieri le Nazioni Unite. Il timore, a questo punto fondato, è che l'esodo dei disperati possa assumere proporzioni ancora più vaste.
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