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Questo articolo è stato pubblicato il 08 marzo 2011 alle ore 06:44.

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In realtà le agende nazionali e internazionali sono tantissime e complicatissime, quindi nove persone risultarono un numero equo che venne mantenuto anche nel 2007 (il congresso del partito si riunisce ogni cinque anni). Oggi, con il moltiplicarsi della confusione e complicazione, c'è chi dice che è impossibile ritornare a sette membri, un numero più agile e veloce per decidere, ma bisognerebbe allargare il gruppo a 11, o comunque mantenere i nove.
Inoltre: chi decide? Nel 2002, anche se Deng era morto cinque anni prima ed era effettivamente uscito dalla politica all'inizio del 1995, quando ebbe un ictus che lo lasciò in stato vegetativo, lui e il suo gruppetto di anziani veterani della Lunga Marcia avevano deciso che il successore sarebbe stato Hu Jintao, portato nel politburo ristretto nel 1992. Tranne che per Hu, allora Jiang decise tutto il resto del gruppo dirigente.
Oggi Jiang, classe 1926, non ha certo il potere e lo status di Deng, e se pure lui e i suoi compagni di cordata hanno contribuito alla scelta di Xi Jinping e Li Keqiang nel 2007, lì si dovrebbero fermare, il resto delle nomine spetterebbe a Hu.
O no? Hu ha o non ha il peso di Jiang nel 2002? e soprattutto in questi dieci anni il paese è molto cambiato, si è molto frammentato, sono emersi forti gruppi d'interesse che hanno volontà proprie, per esempio i militari, le aziende petrolifere, quelle esportatrici, i gruppi finanziari, eccetera. Con questi il presidente deve trattare, non può semplicemente dettare ordini, perché altrimenti poi lavorano contro o semplicemente non collaborano.
Poi c'è il futuro ruolo stesso di Hu che non è chiarissimo. Compirà 70 anni nel dicembre 2012, e dovrebbe andare in pensione nell'ottobre di quell'anno, a 69 anni quindi. Ma il suo predecessore nel 2002, Jiang, aveva 76 anni ed ebbe un'estensione di altri due anni, quasi come accade agli arcivescovi.
Ci sono tutti gli elementi perché Hu possa volere un'estensione del suo mandato a capo della commissione militare. Rifiutargliela o meno sarà un'indicazione fondamentale della struttura e della volontà del potere cinese.
Infine ci sono le questioni di personalità. Il futuro presidente Xi Jinping è uomo volitivo, pugnace, ex capo delle guardie rosse. Cioè dopo due generazioni di tecnocrati, quella di Jiang e di Hu, tornano al potere dei rivoluzionari, che certamente non sono passati attraverso la Lunga Marcia, come Mao e Deng, ma hanno sofferto e sopportato come loro battaglie e tormenti durissimi durante la Rivoluzione culturale.
Xi e anche Li Keqiang erano capi guardie rosse e poi sono stati mandati in campagna e hanno lottato con le unghie e coi denti fino a emergere capi delle loro brigate di produzione, cosa difficilissima in mezzo a un contesto di contadini ostili all'arrivo di giovani intellettuali di città.
Si accontenteranno quindi di rimanere sotto l'ombra dei più vecchi? E le loro giovani furie rivoluzionarie sono state placate o continuano a ribollire, lasciando la possibilità di riaccendere forti polemiche politiche che potrebbero spaccare il futuro gruppo dirigente con conseguenze imprevedibili?
Un po' di questo si è intravisto nel comportamento di Bo Xilai, segretario del partito dell'immensa metropoli di Chongqing. Appena arrivato in città, ha iniziato una feroce campagna contro la criminalità organizzata, cosa che ha gettato fango sul suo predecessore, e poi ha dato la stura a una ripresa degli slogan rivoluzionari degli anni 60.
Entrambi sono exploit fuori dalle direttive di Pechino e che hanno dato segnali importanti a tutto il paese. Quest'anno sarà importante vedere se questi atti lo porteranno nel politburo ristretto o alla pensione.

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