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Questo articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2011 alle ore 08:10.

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Giovani e anziani il welfare squilibratoGiovani e anziani il welfare squilibrato

Cosa si può fare? Da tempo giace al Senato una proposta di legge a firma Nerozzi e altri, ispirata dagli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi, che istituisce un contratto "di inserimento" a tempo indeterminato per i nuovi assunti. Per i primi tre anni il licenziamento per motivi eonomici non sarebbe soggetto alla verifica giudiziaria ed il lavoratore godrebbe di una compensazione monetaria. La proposta prevede, nel contempo, un aumento di contributi e minimi salariali per i contratti a termine. Le imprese sarebbero, quindi, incentivate a sostituire quest'ultima tipologia di contratto con quelli a tempo indeterminato, concedendo maggiore stabilità in cambio di minori costi di licenziamento. È oggetto di dibattito se questo meccanismo sia sufficiente a riequilibrare il mercato del lavoro senza determinare un aumento della disoccupazione.

Una proposta più radicale, avanzata da Ichino, prevede l'abolizione della verifica giudiziale dei licenziamenti per motivi economici per i primi venti anni del rapporto di lavoro, con un maggiore impegno dell'impresa (e della fiscalità generale) nella compensazione e nella ricollocazione sul mercato del lavoratore licenziato. Sui dettagli di queste proposte si può senz'altro discutere. Ma ottenere più flessibilità dei rapporti di lavoro in cambio di più assicurazione contro i rischi di impiego (la cosiddetta flexicurity) sembra un'idea giusta, che ha generato risultati virtuosi in altri paesi.

Il problema, però, è che queste proposte incontrano la più che ovvia resistenza da parte dei sindacati e delle imprese. Infatti, se anche fosse riconosciuto l'effetto benefico sull'occupazione e i salari dei giovani di una maggiore libertà di licenziamento, i lavoratori più anziani (e più rappresentati all'interno dei sindacati) non ne trarrebbero alcun beneficio. Le imprese, viceversa, vedono con preoccupazione l'ipotesi di rendere più onerosi i contratti atipici a cui si fa spesso ricorso in modo ingiustificato. In generale, per avviare una riforma di tipo flexicurity dovremmo dotarci di una robusto sistema di ammortizzatori sociali, cioè sussidi di disocupazione e politiche attive del lavoro (come i programmi di riqualificazione). Queste politiche, però, rischiano di generare rilevanti disavanzi di bilancio, perché una maggiore flessibilità dei contratti potrebbe determinare una massiccia espulsione dei lavoratori più anziani e meno produttivi. Ma è proprio cosí?

Se è vero che una correzione del dualismo del nostro mercato del lavoro aiuterebbe la crescita economica, le risorse aggiuntive potrebbero ricadere su tutti i lavoratori e determinare un aumento del gettito fiscale sufficiente a sostenere ammortizzatori sociali più generosi. L'uscita prematura dal mercato dei lavoratori più anziani non è un evento inevitabile. Una maggiore flessibilità nell'organizzazione dell'attività produttiva ed un riallineamento delle retribuzioni alla produttività possono rendere conveniente una riallocazione del lavoro all'interno delle imprese per tutte le fasce di età. Del resto, nei paesi dove i costi di licenziamento sono più bassi (come gli Usa, il Regno Unito e la Danimarca), l'occupazione è più alta che in Italia sia tra i giovani che tra gli anziani. Quanto spendiamo oggi in Italia per i pensionamenti anticipati? Quanto spendono le famiglie per sostenere i figli disoccupati?

La correzione della dualità del mercato del lavoro italiano è certamente un obiettivo difficile. Ma questo non dovrebbe essere un motivo per trascurare il problema. Una discussione approfondita e un confronto tra le parti sociali sulle proposte in campo è quanto mai necessaria.
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