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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2011 alle ore 08:12.

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«Ecco il nostro piano per la crescita» (LaPresse)«Ecco il nostro piano per la crescita» (LaPresse)

Magari è solo un simbolo e la loro abolizione non comporta vantaggi così elevati: ma perché nonostante gli annunci non si riesce a superare il sistema delle province?
Come lei stesso dice i risparmi sarebbero inferiori a quanto si crede. Mentre noi abbiamo messo in atto una innovazione che garantisce davvero risparmi consistenti e quindi possibili riduzioni di pressione fiscale: mi riferisco al federalismo municipale e in esso al passaggio dalla garanzia della spesa storica ai fabbisogni standard fondati sui costi migliori praticati. Un complesso di incentivi e disincentivi sono poi destinati a produrre la gestione associata delle funzioni fondamentali dei comuni, che in un paese di piccole municipalità può davvero avere un grande impatto, aprendo la strada anche alla trasformazione della provincia in ente di secondo grado. Altrettanto strutturali sono poi le riforme di Brunetta sul pubblico impiego, per il quale, ricordo, abbiamo deciso il blocco dei salari per tre anni.

Lei rivendica i risultati del governo sul piano della stabilità e annuncia un piano per la crescita, ma le dirette televisive del Parlamento impegnato in risse per l'approvazione di provvedimenti come la prescrizione breve danno un'immagine diversa della maggioranza e dell'intera classe politica. L'impressione è che la scala delle priorità non sia così chiara.
Mai credere alla propaganda! Le priorità sono ben chiare. Come ho provato a spiegare noi abbiamo realizzato fior di riforme strutturali utili insieme alla stabilità e alla crescita. Cosa sono se non questo il federalismo fiscale e la riforma dell'università. E le abbiamo approvate proprio in questi mesi e settimane.

Ancora oggi però, a leggere le parole del presidente del Consiglio, le urgenze del paese sembrano essere i processi e la magistratura politicizzata.
Il tema della giustizia, se non si vuole esser farisaici, è un tema che interessa tutti. Perché la madre di tutte le certezze consiste in una giustizia giusta e celere. Lontana da ogni impulso ideologico e oculata perché chiamata a rispondere nel caso di dolo o colpa grave. Se c'è un valore che può aiutarci a competere e ad attrarre investimenti dall'estero è la certezza delle regole. Perciò la riforma della giustizia non è estranea alla competitività. Questo gli imprenditori, magari non lo dicono per paura, ma lo sanno. E ci votano anche per questo.

A proposito di giustizia, ha condiviso la sentenza per la morte dei sette operai alla Thyssen?
È stato accolto il solido impianto accusatorio. Anche la sentenza più rigorosa, però, non può restituire le vite perdute. La risposta primaria è nella prevenzione. E la prevenzione migliore è quella che si realizza laddove imprese e lavoratori collaborano per ambienti sicuri secondo un approccio sostanziale e non formalistico di soli adempimenti.

Nulla da cambiare sul piano delle norme?
Io ipotizzo di riportare dalle Regioni allo Stato la competenza su queste materie, come era nella nostra riforma costituzionale che poi il referendum non approvò. Abbiamo bisogno di regole omogenee e modi omogenei di controllare. Sto verificando se su questo puo' esserci un consenso largo in Parlamento. Credo che ci sia e spero perciò che si possa intervenire in modo bipartisan e quindi molto celere.

La giustizia, la stabilità finanziaria, una regolazione più efficiente: ma, come dimostra il caso Fiat, le relazioni industriali restano un fattore cruciale di competitività in un paese come l'Italia.
Abbiamo bisogno di poterci avvalere della loro ulteriore evoluzione. Il merito fondamentale di questa presidenza di Confindustria è stato nell'aver favorito questo processo. Nel corso di questi tre anni sono stati centrati due risultati fondamentali: contrattazione sempre più vicina alle persone che lavorano e alle imprese, finalmente adeguando il salario alla produttività e uscendo così dall'egualitarismo figlio del centralismo contrattuale; eppoi la liberazione dell'imprenditore nel suo potere di organizzazione, con gli accordi di Pomigliano e Mirafiori, in cambio di più occupazione e più salario.

Proprio oggi (ieri, ndr) la Fiom ha annunciato ricorso contro quegli accordi.
Entro un quadro di regole generali, l'imprenditore deve poter disporre del potere di organizzazione e riorganizzazione dei tempi della produzione e del lavoro. Questo per accompagnare rapidamente le opportunità del mercato. Lo scambio con i lavoratori sta nella garanzia che il loro salario partecipi di una parte dei risultati che così si realizzano. Guai se si dovesse regredire da queste linee. Perderemmo quegli investimenti e ne allontaneremmo altri. La via causidica al conflitto sindacale è il parallelo della via giudiziaria alla lotta politica. Per fortuna la maggioranza del sindacato si comporta in termini coraggiosamente responsabili che vanno riconosciuti e premiati nell'interesse di tutti

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