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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2011 alle ore 19:04.

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La presa degli ostaggi, una mossa che tagliò l'erba sotto i piedi a tutti i personaggi politici iraniani filo-occidentali, secondo alcuni storici fu l'episodio (spstenuto dopo alcune incertezze da Khamenei) che fece scivolare l'Iran nel campo anti-americano provocando la maggior frattura anti-occidentale in Medio oriente e da allora mai rimarginata.
In altre parole, la controversia tra Khamenei e Ahmadineajd si spieggherebbe perché il braccio destro del presidente, Esfandiar Rahim Mashaei avrebbe avviato una serie di contatti tentando di aprire un dialogo con gli Stati Uniti sulla spinosa questione del dossier nucleare iraniano.

Certo c'è chi dice che al contrario la querelle iraniana abbia un fondamento tutto ideologico se non addirittura teologico: l'appiglio 'spirituale' degli arresti è dovuto all'uscita di un documentario iraniano di successo che sostiene l'imminente ritorno dell'imam Mahdi – il venerato salvatore dall'islam sciita, il cui ritorno è atteso dai credenti come un messia. La parte conservatrice iraniana, che non crede che il ritorno di Mahdi possa essere in alcun modo predetto, ha accusato quindi il circolo dei più stretti collaboratori di Ahmadinejad, incluso Mashaei, di essere una «corrente deviata» dell'Islam sciita responsabile del film documentario.

L'interesse quasi morboso di Ahmadinejad per l'iman segreto è conosciuto da tutti in Iran. Al Mahdi si riferisce spesso nei suoi discorsi e nel 2009 aveva addirittura detto di avere le prove che gli Stati Uniti stessero cercando di impedirne il ritorno. Tutti elementi in verità della sua retorica con cui sa abilmente infiammare gli animi dei suoi sostenitori soprattutto quelli di Teheran sud, quella più povera e proletaria e più visceralmente attaccata alla tradizioni sciite.
In realtà dietro c'è una sordida lotta di potere su chi debba trattare con gli Stati Uniti. Una lotta che ha visto Ahmadinejad far fuori a suo tempo il potetente Ali Larijani, oggi presidente del parlmanto iraniano, quando quest'ultimo come negoziatore atomico voleva accettare le proposte di compromesso americane.

Il comportamento a dir poco provocatorio di Ahmadinejad è stato duramente criticato dall'ala più conservatrice che sostiene che possa fare la stessa fine di Abdulhassan Banisadr, il primo presidente post-rivoluzione dell'Iran khomeinista, accusato e poi allontanato per aver tentato di indebolire il potere del clero sciita di Qom. Per l'ayatollah Mesbah Yazdi, clericale integralista vicino a Khamenei, disobbedire alla Guida suprema come ha fatto Ahmadinejad equivale ad "abbandonare dio", una mossa che potrebbe costare il posto al presidente che ha sconfitto con la forza della repressione violenta il movimento riformista dell'Onda verde e che ora a sua volta potrebbe cadere per via della reazione delle forze più conservatrici del paese. Ahmadinejad ha messo sotto accusa il Velayat-e faqih, la dottrina del potere del giureconsulto islamico, il punto della costituzione imposta da Khomeini con cui la Guida suprema controlla tutte le disposizioni della vita politica iaraniana, parlamento compreso. Ecco perché Ahmadinejad rischia grosso, perché ha messo in discussione il punto nodale della rivoluzione teocratica iraniana.

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