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Questo articolo è stato pubblicato il 19 maggio 2011 alle ore 17:21.

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Obama prepare il Piano Marshall per il mondo araboObama prepare il Piano Marshall per il mondo arabo

Algeria
A partire da gennaio, l'Algeria ha assistito a varie proteste antigovernative che hanno portato in superficie il malessere che da tempo sobbolle nel più vasto paese del Maghreb. I principali motivi di malcontento sono la disoccupazione e la corruzione diffuse, l'aumento dei prezzi per i beni di prima necessità e il persistere di pratiche di governo autoritarie. Nel mese di gennaio, alcuni algerini si sono autoimmolati, a imitazione del tunisino Mohamed Bouazizi che, dandosi fuoco, aveva innescato la rivolta popolare nel suo paese. Il presidente algerino, Abdelaziz Bouteflika, al potere dal 1999, ha cercato di calmare gli animi revocando lo stato di emergenza in vigore da 19 anni. Secondo molti osservatori si tratta di una manovra più che altro simbolica. Nonostante rimanga vigente il divieto di manifestazioni, nelle ultime settimane di febbraio e nei primi giorni di marzo gruppi di dimostranti scendono in piazza in ripetute occasioni, controllati da consistenti dispiegamenti delle forze di sicurezza. Il 5 marzo uno dei leader dell'opposizione, il capo del partito Raggruppamento per la cultura e la democrazia, Said Sadi (che fa parte del Coordinamento per la democrazia e il cambio, il movimento che guida le proteste), è aggredito da contromanifestanti lealisti. Il 7 marzo scendono in piazza, nonostante i divieti, migliaia di agenti della polizia locale, che chiedono stipendi migliori. La loro manifestazione, altrettanto numerosa, viene replicata il 3 aprile. Si susseguono altre piccole proteste e sit-in. Il 12 aprile, sfidando un massiccio dispositivo di sicurezza, manifestano nelle strade della capitale alcune migliaia di studenti, che protestano contro il fatto che l'università si sia trasformata in una "fabbrica di disoccupazione". A inizio maggio tentano di sfilare anche gruppi di medici e di operatori della sanità. I disordini nel paese rimangono però più che altro in potenza. Probabilmente ha il suo peso il ricordo dei massacri che sconvolsero l'Algeria negli anni Novanta, nel corso del conflitto stragista e fratricida (circa duecentomila vittime) seguito all'annullamento del risultato di elezioni vinte dal partito islamista Fis. Proprio per allontanare lo spettro di quel periodo sanguinario e per tentare preventivamente una distensione, il presidente Bouteflika a metà maggio annuncia la volontà di scarcerare alcune migliaia di militanti islamisti coinvolti in quegli eventi e ancora detenuti nelle carceri algerine.

Bahrain
In Bahrain, miniarcipelago nel Golfo Persico che ospita la Quinta Flotta della Marina militare americana, a metà febbraio hanno inizio grandi proteste contro il re Hamad bin Isa al-Khalifa. Le manifestazioni, che si irradiano da Piazza della Perla nella capitale Manama, chiedono che la dinastia regnante promuova riforme politiche sostanziali. Ma il quid della protesta è da ricercarsi nel fatto che, mentre la dinastia regnante è sunnita, circa il 70 per cento della popolazione autoctona del paese è sciita ed è assai sottorappresentata politicamente e da sempre penalizzata in ogni ambito della società a vantaggio della minoranza sunnita. Nella terza settimana di febbraio la brutale repressione delle proteste di piazza causa sette morti. Il 22 febbraio una folla impressionante, in proporzione alla popolazione totale del Bahrain, si raduna in Piazza della Perla. I principali movimenti di opposizione esprimono un pacchetto di richieste: una monarchia davvero costituzionale, una riforma elettorale che non metta all'angolo gli sciiti, la liberazione di tutti i prigionieri politici, un nuovo governo di salvezza nazionale e un'inchiesta indipendente sulle sette persone uccise durante le proteste. Intanto il governo libera più di 300 prigionieri politici. Il 3 marzo a Hamad Town si verificano scontri tra cittadini sciiti e sunniti, facendo ulteriormente emergere il problema della differenza religiosa che scorre sottotraccia alle proteste. Il 14 marzo arrivano in Bahrain circa mille militari sauditi e 500 poliziotti degli Emirati per dare manforte al re. Il 15 il sovrano dichiara tre mesi di stato di emergenza. Alcuni leader dell'opposizione vengono arrestati (in tutto sarebbero alcune centinaia le persone finite in carcere). Il 18 marzo viene demolito simbolicamente dall'esercito il monumento di Piazza della Perla, cuore della protesta. Sul "caso Bahrain" si sviluppano tra fine marzo e inizio aprile tensioni diplomatiche tra i paesi del Golfo (in primis l'Arabia Saudita che è intervenuta direttamente con i suoi soldati nell'arcipelago) e l'Iran, che condivide con la maggioranza della popolazione del Bahrain la fede sciita e critica l'interventismo di Riad. A metà aprile si diffonde la notizia secondo cui le autorità vorrebero sciogliere il partito Al Wefaq e altri movimenti politici della comunità sciita, ma dopo vibrate proteste giunte dall'Amministrazione americana, il governo del Bahrain smentisce di avere questa intenzione. Tra fine aprile e inizio maggio alcuni medici e infermieri, che avevano prestato cure e assistenza ai manifestanti feriti durante la rivolta popolare, vengono imputati di atti contro lo Stato. Il 18 maggio viene rinviato l'appello nel processo in cui quattro sciiti sono stati condannati a morte per l'uccisione di due poliziotti. Secondo i dati forniti dalle autorità, i disordini scoppiati a febbraio hanno causato 24 morti, (la maggioranza dei quali sono dimostranti antigovernativi).

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