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Questo articolo è stato pubblicato il 19 maggio 2011 alle ore 17:21.

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Obama prepare il Piano Marshall per il mondo araboObama prepare il Piano Marshall per il mondo arabo

Iraq
Negli ultimi dieci giorni di febbraio si verificano proteste popolari anche in Iraq. A Sulaymaniyah, nel Kurdistan, ci sono quattro vittime nel corso di sollevazioni contro il governo locale. Nella città di Sulaymaniyah, e nel Kurdistan in generale, si vive meglio che nel resto del paese e il livello dei servizi erogati ai cittadini è più alto dell'attuale standard iracheno, ma stanno emergendo segnali di una crescente distanza tra la popolazione e i governanti locali. Venerdì 25 febbraio nel corso del cosiddetto "Giorno della Rabbia" migliaia di persone in molte città del paese scendono in strada, nonostante gli appelli alla calma da parte del governo e delle autorità religiose. Alcuni palazzi del potere locale sono attaccati dalla folla e le forze di sicurezza in molti casi reagiscono con violenza. Obiettivo dei manifestanti è la richiesta di più lavoro, migliori servizi (erogazione dell'acqua e dell'elettricità, ad esempio), pensioni più alte e meno corruzione da parte dei politici e delle autorità in genere. Nello scontro ci sono circa quindici morti. Venerdì 4 marzo a Baghdad a Bassora e in altre città irachene ci sono ulteriori manifestazioni ma non si registrano gravi episodi di violenza. Il controllo delle dimostrazioni di piazza da parte della polizia e delle forze di sicurezza impiega in ingente numero di uomini. Il 16 e 17 marzo piccoli gruppi di iracheni sciiti protestano contro l'intervento dei militari sauditi in Bahrain. Alle manifestazioni che si susseguono per tutto il mese di marzo e le prime settimane di aprile in molte zone dell'Iraq, dal Kurdistan al Sud sciita del paese, e in cui l'obiettivo della protesta sono le inefficienze del governo, la carenza di servizi, la corruzione, l'alto tasso di disoccupazione, si mescolano "piazze" animate da altri sentimenti. È il caso, nella prima settimana di aprile, delle dimostrazioni contro un prolungamento della presenza americana nel paese, animate soprattutto dai seguaci del leader sciita Moqtada al Sadr. Il 13 aprile le autorità proibiscono i concentramenti di protesta nelle strade della capitale Baghdad, che intralciano il traffico e le attività commerciali: unici luoghi in cui saranno autorizzate le manifestazioni sono tre stadi cittadini. Dopo il deciso intervento del governo, nelle settimane successive la protesta in Iraq vive un momento di stanchezza. A Baghdad continuano piccoli raduni nei "venerdì di protesta", ma si tratta di fiacche riunioni di poche decine di persone. Eppure, mentre in Kurdistan il malcontento non sfocia in iniziative visibili ma continua a sobbollire, l'arrivo della stagione estiva potrebbe portare con sé nuove esplosioni di rabbia popolare. Infatti la carente erogazione di energia elettrica, che compromette un uso intensivo dei conzionatori, potrebbe essere il detonatore di nuove proteste antigovernative.

Sudan
In Sudan, che, in conseguenza di un referendum, vedrà a luglio la nascita di un nuovo Stato indipendente nella sua zona meridionale e vive un clima di tensioni in cui si innesta la crisi non risolta della regione del Darfur, ci sono sporadiche e circoscritte proteste popolari tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio. I manifestanti chiedono riforme politiche ed economiche. La risposta delle forze di sicurezza è decisa (lacrimogeni, percosse, idranti). Il 21 febbraio arriva una notizia inaspettata: il presidente Omar al-Bashir afferma con enorme anticipo di non volersi ricandidare nelle elezioni del 2015, per "accrescere la democrazia". Secondo tutti gli analisti, l'annuncio di al-Bashir ha l'obiettivo di diluire le possibilità che il contagio contestatario travolga anche il suo paese (e il suo "trono"). Il 21 marzo un intervento preventivo delle forze di sicurezza impedisce sul nascere il dispiegarsi di una protesta a Khartoum. Il 4 aprile alcune centinaia di persone si radunano per manifestare i propri sentimenti sntigovernativi davanti all'Università della capitale. Lo stesso giorno un gruppetto di disoccupati dà vita a una piccola dimostrazione a El Fula, nella parte meridionale del paese. La polizia interviene con fermezza e le proteste non diventano un fenomeno di massa. In un'intervista alla Reuters del 17 maggio, Hassan al Turabi, uno dei leader dell'opposizione, dice che l'indipendenza del Sud Sudan, che sarà effettiva a partire dal 9 luglio, potrebbe provocare gravi difficoltà economiche al Nord. E che soprattutto il probabile aumento dell'inflazione potrebbe fornire combustibile al vigoroso rinnovarsi di nuove proteste popolari contro il governo di al-Bashir .

Gibuti
L'onda contestataria proveniente da Nord colpisce anche Gibuti. Il 18 febbraio nei pressi dello stadio della capitale decine di migliaia di persone partecipano a proteste contro il presidente Ismail Guelleh, succeduto nel 1999 a suo zio. Ci sono violenti scontri che causano la morte di un poliziotto e una decina di feriti. In aprile è previsto il voto per le elezioni presidenziali, a cui Guelleh potrà partecipare grazie a una modifica costituzionale da lui voluta nel marzo scorso che elimina il limite di due mandati. I manifestanti chiedono che si installi nel paese un governo di transizione che possa vigilare sulle elezioni. Nei giorni successivi alla grande mobilitazione popolare del 18 febbraio le autorità di Gibuti affermano che le manifestazioni dei partiti politici sono un prerequisito per libere ed eque elezioni, ma che in questo caso si è trattato di una protesta orchestrata da mestatori che puntano soltanto a creare il caos. Il tentativo da parte dei leader antigovernativi di indire un'altra concentrazione di massa il 4 marzo si infrange davanti ai divieti da parte delle autorità e a un massiccio dispiegamento delle forze di sicurezza che bloccano le strade e impediscono il convergere dei manifestanti nella zona dello stadio. Disinnescato dal governo anche un tentativo di proteste di piazza previsto per l'11 marzo, con l'arresto di quattro leader dell'opposizione. Nella seconda metà di marzo gli osservatori dell'organizzazione americana Democracy International, che avrebbero dovuto monitorare le operazioni elettorali, sono stati invitati a lasciare il paese. Nelle elezioni presidenziali dell'8 aprile, che vengono boicottate dalle opposizioni e vedono soltanto due contendenti (il capo dello Stato uscente e Mohamed Warsama Ragueh), Guelleh ottiene circa l'80 per cento dei voti. Gibuti ospita l'unica base militare americana in Africa e il più grosso contingente francese d'Oltremare.

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