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Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2011 alle ore 16:44.

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Il Ken Follett italiano. Io ho letto le due spystory scritte da Luigi Bisignani e ve le racconto. Fiction o realtà?Il Ken Follett italiano. Io ho letto le due spystory scritte da Luigi Bisignani e ve le racconto. Fiction o realtà?

I personaggi, secondo i più vieti cliché della letteratura di genere, hanno una generosa inclinazione per le bibite ad alta gradazione alcolica, con una sola occhiata passano dal presentarsi con una stretta di mano a una signorina flessuosa ad avvinghiarsi con la medesima in un turbinio di lenzuola e frequentano soltanto ambienti extralusso. Con un furioso namedropping di marchi e firme prestigiose (il protagonista si muove su un Concorde privato anche sulla rotta Roma-Londra…), ogni dettaglio di arredamento, di vestiario e di accessorio è superlativo e alcune pagine si trasformano in una specie di campionario del "top di gamma" in ogni settore, anche in quello olfattivo (ad esempio: «Erano trascorsi più di 15 anni ormai dall'indimenticabile serata trascorsa a casa sua, a Roma, in cui avevano fatto l'amore sul tappeto davanti al camino in cui bruciavano ciocchi profumati di olivo della collina di Sion»).

Sullo sfondo, ma neanche troppo, della vicenda c'è l'orizzonte politico italiano, in via di assestamento. L'aspetto più curioso del romanzo è il fatto di essere ambientato negli anni tra il 1997 e il 1999, con un salto in avanti di circa dieci anni rispetto a quel 1988 in cui il giallo fu pubblicato. Nell'inventarsi il futuro prossimo, in cui tutti tasteggiano su "radio-computers" (con quella "s" plurale corretta ma che, con il senno di poi, fa tanto vintage informatico) e si telefonano in video con un sistema che anticipa Skype, Bisignani qualcosa azzecca, qualcosa annusa, ma qualcos'altro invece lo sbaglia di grosso.

Nel 1997 de "Il sigillo della porpora" la politica italiana si avvia al bipolarismo (fuochino). Il Pci sta attuando la Svolta socialdemocratica (fuoco, ma con un po' di ritardo) ed è alleato con un Partito socialista ancora vegeto (acquissima). E a capo dell'altro schieramento, quello moderato ancora a trazione diccì (acqua), c'è «Giovanni Valdieri, l'esponente di maggiore prestigio del mondo imprenditoriale italiano, mai iscritto a nessun partito» (in sostanza, fuochissimo).

Fuochino e acqua anche per quanto riguarda lo scenario internazionale: nei tardi anni Novanta tratteggiati nel romanzo, se in tutto il pianeta agiscono forze del mondo arabo in cui al fanatismo religioso e a progetti politici di dominio si mescolano fiotti torrentizi di denaro, a Mosca sono ancora floridi il regime comunista, il Comecon e il Kgb. Per tornare all'Italia, gli errori di previsione contenuti nel giallo di Bisignani sono tutti legati a una macrosvista: nella ricostruzione dell'autore – che per il resto coinvolge tutti, ma proprio tutti i poteri – non c'è traccia alcuna della presenza della magistratura.

Il secondo romanzo di Bisignani, «Nostra signora del Kgb» (questa volta dedicato "a mia madre" per par condicio parentale) è una classica spy story. Il protagonista, che racconta in prima persona, e questa volta guardando più prudentemente al recente passato, è Jan Korek.

Lo scenario è l'ultimo lustro della Polonia comunista, in cui Jan è uno dei protagonisti della dissidenza. Poi, con il franare del regime, diventerà un papavero del nuovo establishment, in qualità di firma di punta del prestigioso quotidiano Gazeta Wyborcza. Ma, più che semplice giornalista, Jan si darà da fare come agente segreto improvvisato, nel tentativo di sbarrare il passo ai torbidi maneggi di chi vuole una restaurazione comunista in tutta l'Europa dell'Est.

La ricostruzione di ambiente del crepuscolo jaruzelskiano è complessa e, tutto sommato, piuttosto avvincente, ma al centro di una trama che scorre rapida stupisce un po' la figura del protagonista che è un "agente segreto" e un indagatore del dietro-le-quinte piuttosto gonzo.

Prende per disinformacija e depistaggio ogni indiscerzione genuina e si fa succhiare informazioni da ogni bellezza femminile che incontra. Ogni volta si stupisce che tutte queste fanciulle affascinanti provino un'irresistibile pulsione a dedicarsi ad acrobatici grovigli amatori proprio con lui, che è bruttarello, non ha carisma né charme e ha un'educazione sentimentale claudicante.

Eppure poi, dopo essersi brevemente confrontato con le sue insicurezze, si butta regolarmente sul materasso e fischietta inspiegabilmente segreti come un fringuello all'amante di turno. E se si può intravedere in questo giornalista che si sente agente segreto suo malgrado qualche traccia dell'autore allo specchio, anche ne «Il sigillo della porpora» c'era, in effetti, spazio per quello che, alla luce dell'attività di Bisignani, sembra quasi uno schizzo di autoritratto, quando Sergio Bruschi racconta ciò che un amico pensa di lui: «Ci sono delle persone che non sanno vivere se non in mezzo a grane immense e irrisolvibili, a paure e tensioni violente. Tu sei una di quelle. Anzi, se ti capitasse un momento di tranquillità, te le andresti a cercare col lanternino… Perché per te sono come l'ossigeno. Non riusciresti a vivere».

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