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Questo articolo è stato pubblicato il 16 luglio 2011 alle ore 23:49.

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In Etiopia e Kenya la situazione è comunque molto grave. Anche perché sui mercati locali i prezzi di alcune commodities alimentari, sono schizzati. A Kitui, in Kenya il prezzo del mais è salito del 240% dal maggio 2010 al maggio 2011 (dati Usaid).

«Secondo diverse valutazioni – continua Elise Ford - l'Etiopia avrebbe bisogno di 390 milioni di dollari per fronteggiare l'emergenza. Lo stesso ammontare sarebbe necessario per Somalia e Kenya». «È da gennaio che le Ong ripetono gli appelli Ma finora siamo stati inascoltati», precisa Marcelo Garcia Costa. «La comunità internazionale si è mossa con molto ritardo. E, complice la crisi finanziaria mondiale e le rivolte arabe, i segnali non sono incoraggianti. È una lotta contro il tempo, un disastro che rischia di costare ancora di più» conclude Elise Ford.

Le Nazioni Unite stanno facendo grandi pressioni sui paesi donatori. Prima che sia troppo tardi. «Il nostro budget per il Corno d'Africa è di 477 milioni di dollari. fino ad ora ne abbiamo ricevuti 287. Mancano all'appello 190 milioni, almeno, perché probabilmente il budget dovrà essere corretto al rialzo. Il numero di gente che bisogno di assistenza sta crescendo», precisa il portavoce del World Food Programme.

Il campo profughi di Dadaab, a circa 90 km dal confine con la Somalia, oggi appare come una metropoli di disperati. A corto di tende, alcune famiglie si difendono dal vento e dalla sabbia costruendo capanne di rami secchi.«Ormai arrivano ogni giorno 1.400 persone», racconta al telefono il personale di Medici senza frontiere (Msf). Dadaab era stato progettato per ospitare 90mila profughi, ne conta già 380mila. E' il campo profughi più grande del mondo. I ritardi nell'assistenza stanno creando gravi problemi. Dal 30 giugno i rifugiati ricevono, subito dopo il loro arrivo, del cibo sufficiente per 15 giorni, ma poi si sentono dire che devono aspettare almeno 40 giorni prima di ricevere la seconda razione, precisa Msf, che ha ricoverato nel proprio Centro di trattamento della nutrizione 320 bambini nel solo mese di giugno. A Dadaab la situazione sta precipitando: il 43,3% dei bambini tra i 5 e i 10 anni soffre di malnutrizione.
Drammatica è anche la situazione in cui versano i campi profughi sul confine etiope. Il rischio di epidemie è molto alto. «Cinque milioni rischiano di contrarre il colera in Etiopia», ha precisato il portavoce dell'Oms in un comunicato diffuso a Ginevra.

Per chi non ha potuto raggiungere gli Stati vicini la situazione è persino peggiore. Fino al paradosso; migliaia di somali si sono riversati nei campi profughi intorno alla capitale Mogadiscio, una città ormai ridotta a una distesa di ruderi. Sono scappati da una siccità drammatica, dal caldo torrido e dalla guerra, e sono stati travolti da devastanti temporali. Piogge particolarmente violente e fredde. Fonti mediche locali riferiscono finora di almeno 5 morti, fra cui tre bambini. I casi di polmonite sono ormai numerosi, soprattutto tra le donne incinte e i bambini sotto i cinque anni di età. Acqua inutile, che non allevia la siccità.

«Non ci illudiamo – spiega Hassan Mahad Abdi, coordinatore di progetti in Somalia per Intersos– si tratta di precipitazioni monsoniche violente, che lambiscono la costa e finiscono qualche chilometro più all'interno. Nel resto del paese nemmeno una goccia. La situazione sembra destinata a restare così fino ad ottobre. Fino ad allora, può solo peggiorare».

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