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Questo articolo è stato pubblicato il 20 agosto 2011 alle ore 11:10.
L'ultima modifica è del 20 agosto 2011 alle ore 11:10.

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Con il pasticcio federalista, che finora si traduce solo in un aumento già stimato della pressione fiscale, se ne va anche il sogno del superamento del «paese delle cento tasse»; resta l'Italia delle mille illusioni.

Nell'attesa, la realtà prospetta la tassa di solidarietà: i 600mila "eroi fiscali" su cui è congegnata sono il bersaglio fermo e immobile che non può schivare il colpo. Addirittura il colpo, stavolta, arriva retroattivo, con buona pace dello Statuto del contibuente – come ha scritto Guido Gentili giovedì scorso – delle implicazioni bizantine che imporrà ai cittadini o ai sostituti d'imposta. Senza vergogna. E questo fisco arraffone continua a non colpire chi è fuori quadro e intende restarci, magari in attesa di un prossimo scudo o di un condono.
Lo scudo fiscale bis sarebbe una follia: ed è bene che arrivi un primo stop dal Governo anche se in Parlamento l'idea non è del tutto tramontata. Lo scudo, quand'anche riuscisse a far rientrare capitali che, allo stato, non sembrano intenzionati a muoversi, confermerebbe l'Italia come Paese dei furbi e non di chi mantiene gli impegni e ha a cuore la cosa pubblica, come ci chiedono i mercati globali, gli attori forti della politica europea, la Bce. L'infantilismo irresponsabile di cui è malata, da qualche anno, la stessa cultura politica prevalente, narcisista e autoreferenziale, non troverebbe finalmente la cura necessaria che i mercati invece sembrano intenzionati a imporci.

La tassa sui fondi scudati, del pari alla prima, è un'altra idea in libertà: lo Stato ha fatto un patto, per quanto sgradevole e iniquo, e lo deve rispettare, perchè lo Stato non può venire meno ai patti chè altrimenti salta la "certezza di ultima istanza" del diritto. Per tassare quei capitali bisognerebbe trovare nomi che non esistono perchè coperti dal segreto custodito delle società fiduciarie e lo Stato si è impegnato a rispettare quel tabù fino all'estremo di "condonare" anche aspetti di rilevanza penale.
Non si vede ancora quel lavoro di pazienza del giorno-dopo-giorno nei controlli, nella verifica della tracciabilità delle somme, nell'esame dei riscontri: una serie continua e incessante di micro-atti, attenti e non vessatori, che, alla lunga, cambiano la cultura di un Paese, la percezione del rapporto tra persone e amministrazione fiscale. Non c'è, ma nella manovra di Ferragosto esistono segnali (come l'abbassamento della soglia per la tracciabilità dei compensi) di un "ravvedimento operoso" dell'amministrazione.

Resta il fatto che sarebbe più equa un'operazione sull'Iva, sulle imposte indirette: un punto in più per le aliquote non gravanti sui beni di larghissimo consumo porterebbe incassi per 4-5 miliardi e non impatterebbe sui consumi, come invece paventa qualche catastrofista un po' interessato.
Il resto lo dovrebbero fare i tagli agli sprechi, tagli veri su sprechi veri: i 6 miliardi cifrati nella manovra non trovano dettaglio. Sono una bella somma e avrebbero bisogno di una specifica accurata per non sembrare una soglia solo velleitaria. Per non parlare di quanto sia solo una partita di giro, discutibile sul profilo dell'equità, il presunto risparmio sul Tfr degli statali posticipato. Non risparmio, ma rinvio di spesa che raddoppierebbe negli anni sucessivi. Quanto al Tfr in busta paga come volano keynesiano per i consumi sarebbe solo una fata morgana in busta paga, un miraggio aritmetico a copertura di un "raggiro fiscale" perchè la liquidazione verrebbe gravata da un'aliquota più alta.

Non è tempo di furbate. Servirebbe la serietà dei lavori di lunga lena e pazienza nell'immediato futuro, qualcosa che assomigli a quella spending review certosina già messa in campo in altre ere e poi superata dalla politica della velocità, dell'immagine e degli annunci rassicuranti. Le migliaia di voci del bilancio pubblico, centrale e locale (soprattutto regionale) sono tutte rivedibili, tutte limabili. Ma serve lo sguardo lungo dell'amministratore oculato, la volontà di incidere senza badare alle clientele, la serenità del consenso. Ma in questo lungo agosto tutto è più precario, lo sguardo si è bloccato sullo scorrere dei secondi. Potrebbero essere l'inizio del conteggio del ko tecnico o i primi rintocchi di una nuova stagione per la fiducia. L'Italia ha comprato il tempo per fare ciò che deve e che può. Ma quel tempo non è molto.

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