Il Sole 24 Ore
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13 settembre 2011

Erdogan al Cairo: il riconoscimento dello stato palestinese è un obbligo

di Francesca Marretta


Recep Tayyip Erdogan «Eroe d'Egitto». Così la stampa del Cairo ha salutato stamane il premier turco in visita da ieri sera, mostrando lo stesso entusiasmo espresso all'aeroporto della capitale egiziana da folle di sostenitori.

La tappa egiziana è la prima di un viaggio che porterà domani Erdogan in Tunisia e poi in Libia, tre Paesi protagonisti dei cambiamenti epocali prodotti nel giro di pochi mesi da quella che è passata alla storia come la primavera araba.

La visita del premier turco si tiene a pochi giorni l'assalto all'ambasciata israeliana al Cairo. Lo stesso leader di Ankara ha usato parole di fuoco verso l'ex amico israeliano, con cui di recente ha sospeso accordi militari e declassato le relazioni diplomatiche. Alla vigilia della tappa in Egitto, Erdogan ha parlato di "casus belli" in relazione all'uccisione di nove cittadini turchi per mano di militari israeliani a bordo della nave Mavi Marmara diretta a Gaza a maggio 2010. Intervenendo a una riunione della Lega Araba, Erdogan ha ribadito che il prezzo di un'eventuale normalizzazione tra Turchia e Israele sono le scuse per tale vicenda, l'indennizzo alle vittime e la revoca dell'embargo a Gaza.

Ha inoltre definito Israele «un bambino viziato» che pratica «terrorismo di Stato» nei confronti dei palestinesi. Israele, dice Erdogan, non si rassegna ad accettare che «il mondo arabo è cambiato». È' evidente che la Turchia, Paese Nato e potenza regionale emergente, cerchi un riposizionamento strategico, proprio alla luce degli sviluppi della primavera araba, in quanto esempio di democrazia in equilibrio tra islam e valori laici, alleato dell'occidente, ma non necessariamente allineato alla politica di Washington. Erdogan, che al Cairo incontra la numero uno della diplomazia europea Ashton e il presidente palestinese Abbas per parlare della prossima richiesta di adesione palestinese all'Onu, è accompagnato da alcuni ministri e 170 imprenditori al fine di rilanciare la «cooperazione strategica» turco-egiziana in campo militare, diplomatico ed economico. Erdogan ha ricordato agli egiziani che «un principio dell'islam» è l'equidistanza dello Stato da tutte le religioni. Il richiamo alla democrazia e al laicismo in salsa musulmana è condensato nel discorso preparato dal leader turco per il viaggio al Cairo.

Una sorta di remake dei buoni auspici per il nuovo Medio Oriente, come ebbe a fare Barack Obama nel 2009. Prima di partire alla volta delle capitali della primavera araba, Erdogan ha dichiarato in patria che l'assalto alla sede diplomatica israeliana al Cairo è stato un atto animato da uno spirito di risveglio, il segno di un cammino verso democrazia e la libertà, che si lascia alle spalle un sistema autocratico. Il premier turco ha criticato quelle leadership regionali «che non rispettano la volontà del loro popolo», un riferimento al siriano Assad. Erdogan si fa dunque paladino della democrazia e della liberà dei popoli. Un concetto che la Turchia non applica nel caso dei curdi. E gli armeni non hanno ancora ricevuto scuse per quel genocidio che secondo Ankara non è mai avvenuto. Solo un anno fa Erdogan sottolineava che la Turchia «tollera» la presenza armena nel proprio territorio. Gli assalti alle ambasciate non lasciano ben sperare per il futuro della democrazia. Ovunque avvengano. Anche a Teheran nel 1979 c'era la rivoluzione. Vi presero parte forze laiche e progressiste. Fatte poi fuori dall'integralismo religioso degli ayatollah.


13 settembre 2011