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Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2011 alle ore 13:27.

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La Somalia è una porzione di Africa dimenticata. Due anni fa, quando gli estremisti islamici al-Shabaab controllavano gran parte di Mogadiscio, Foreign Policy definì la capitale «The most dangerous place in the world». Durante la nostra visita occorreva girare con una scorta armata, cambiare hotel ogni giorno, nascondersi per ore nei momenti peggiori, e non fidarsi di nessuno, mai.

Ora gli Shabaab si sono ritirati da Mogadiscio, ma la capitale è ancora un luogo pericoloso. Lo conferma l'attentato kamikaze di martedì, costato la vita a 70 persone e rivendicato dagli Shabaab.

La Somalia resta un paese dilaniato. C'è chi lo chiama lo stato fallito, chi preferisce la definizione stato fantasma, a rimarcare l'assenza di ogni istituzione, chi, infine, ne parla come il luogo dove l'anarchia è eletta a regola del sistema. Il Paese è precipitato nel baratro nel 1991, dopo la la caduta del corrotto regime di Siad Barre. Da allora la popolazione fa le spese con una guerriglia che si trascina da 20 anni. Dal 1991 al 2005 è stato il tempo degli spietati signori della guerra. L'Operazione Restore Hope (3 dicembre 1992-4 maggio 1993), la missione internazionale sotto il controllo degli Stati Uniti il cui obiettivo era arginare la disastrosa carestia della Somalia, non ebbe i risultati sperati. I signori della guerra, alcuni dei quali saccheggiavano le derrate di aiuti internazionali, opposero una fortissima resistenza. Le perdite tra le forze internazionali (soprattutto americani, ma anche soldati italiani e di altri paesi) convinsero presto a ritirarsi da quel paese condannato alla violenza.

La svolta avvenne nel 2006. Quando, l'eterogeneo movimento delle Corti islamiche riuscì a sconfiggere l'alleanza dei signori della guerra, appoggiata incautamente dall'Occidente. In quei mesi Mogadiscio era tornata a rivivere, stava nascendo perfino un embrione di commercio. Spaventati dalla presenza di estremisti nelle fila delle Corti, e dai loro belligeranti proclami, gli Usa decisero di appoggiare l'avanzata dell'esercito etiope nel dicembre 2006.

La vittoria fu schiacciante, le Corti si dissolsero. Rimasero i miliziani più estremisti. Due anni di occupazione etiope trasformarono il Paese nell'Iraq africano, con perdite su tutti i fronti, 17mila morti civili, quasi un milione di sfollati. Quando l'esercito etiope abbandonò la Somalia gli Shabaab si rafforzarono. Fino a controllare nel maggio del 2009 gran parte dei quartieri di Mogadiscio. Pochi mesi prima l'Occidente aveva compreso che i membri moderati delle Corti dovevano governare un paese tradizionalmente islamico. Ma era già troppo tardi. Incalzati dall'offensiva dell'Amisom (i caschi blu dell'Unione Africana) e dalle truppe del governo federale di transizione (Tfg) in agosto gli Shabaab si sono ritirati da Mogadiscio, ma controllano gran parte della Somalia centro-meridionale.

Shabaab. Non esiste un movimento affiliato ad al-Qaeda che possa muoversi liberamente su un territorio esteso quanto l'Italia. Che possa disporre di porti, e anche piccoli aeroporti. In grado di incassare centinaia di milioni di dollari l'anno con i proventi della pirateria, una piaga per il commercio marittimo, i balzelli estorti alla popolazione, il traffico di armi. La guerra contro di loro non ha sortito gli effetti desiderati. Nei loro territorio hanno imposto una versione rigidissima della Sharia; ripristinando le amputazioni per i ladri, bandendo musica, Tv e sport. Anche davanti alla crisi ha prevalso il loro integralismo. In alcune aree colpite dalla siccità non hanno permesso alle Ong internazionali di distribuire gli aiuti. «È il luogo più difficile e pericoloso al mondo per gli operatori umanitari», conclude Geno Teofilo. In altri casi sono stati accusati di aver sequestrato le derrate alimentari. Oltre il 90% del bestiame, la maggiore risorsa della popolazione somala, è già morto. Occorre una mediazione, spiegano le Ong occidentali. Prima che la carestia assuma dimensioni ancor più tragiche.

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