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Questo articolo è stato pubblicato il 20 dicembre 2011 alle ore 14:00.

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A Bergamo e dintorni quasi non ci credono. Ma come, proprio lui, Cristiano Doni, il capitano, il giocatore simbolo della squadra da anni che si mette a truccare le partite per intascare denaro "fuori busta"? Praticamente impossibile. Anzi, no, quasi certo. Ne sono convinti in Procura a Cremona, tanto da aver spedito in piena notte le forze dell'ordine ad arrestare l'ex stella del calcio in salsa bergamasca. Pare che gli inquirenti abbiano suonato al campanello di casa Doni alle 5. Qualche tentativo andato a vuoto e poi la porta che si apre. «È in arresto», gli dicono. E lui accusa il colpo come sarebbe capitato a chiunque.

Potrebbe finire lì. E invece, no, c'è una coda che potrebbe aggravare e di parecchio la situazione del calciatore. Già, perché secondo fonti attendibili Doni, ancora in pigiama, avrebbe approfittato di un momento di confusione per raggiungere il garage che custodisce l'auto. Insomma, avrebbe tentato di fuggire. Poco prima aveva mentito agli agenti che gli chiedevano notizie di un pc portatile, che potrebbe contenere parole e numeri scottanti. «Non ne ho», avrebbe detto lui candidamente. Peccato che il computer si trovi nella cassaforte. Fuori uno e fuori l'altro, destinazione Cremona, dove per Doni si aprono le porte del carcere. Cinque giorni cinque in completo isolamento. E poi si vedrà, ma soltanto se deciderà di collaborare. Perché le prove, fanno sapere gli inquirenti, sono schiaccianti.

Doni era uno dei tanti. Prendeva denaro per influire pesantemente sui risultati delle gare che lo vedono tra i protagonisti. Dai 500 mila euro a tre volte tanto, ecco quanto potevano mettere da parte gli indagati per una singola partita. Nei guai ci sono numerosi calciatori di serie B e Lega Pro. E tre sarebbero gli incontri di serie A del 2011 sotto indagine. L'organizzazione internazionale aveva ramificazioni un po' ovunque. Da Singapore, base operativa della banda di criminali, partivano gli ordini che raggiungevano tutto il mondo. E gli addetti ai lavori che manifestavano il loro interesse a partecipare al progetto criminoso venivano indottrinati a dovere circa i diritti e i doveri delle loro prestazioni. Tutto in silenzio e nella più completa clandestinità, usando accortezze che nemmeno James Bond. Chi sbagliava, era fuori, subito. Perché il gioco era troppo grosso e importante per rischiare di essere smascherati.

«Fantozzi, è lei?». Nelle intercettazioni degli inquirenti, c'è spazio anche per il personaggio portato al successo da Paolo Villaggio. Doni chiama Nicola Santoni, fino a ieri preparatore dei portieri del Ravenna, per chiedergli notizie circa la modifica della password del suo iPhone, che sospettava fosse finito sotto controllo della polizia. E inizia la conversazione con la voce in falsetto per suggerire a Santoni di fare altrettanto. Conversazione durante la quale si capisce chiaramente che le intenzioni di Doni sono tutt'altro che pacifiche. E che l'ex capitano dell'Atalanta, miglior marcatore di sempre del club neroazzurro, cittadino benemerito del comune di Bergamo e tante altre belle cose raccolte nel corso di circa vent'anni di carriera, non è l'uomo che i suoi tifosi si aspettavano che fosse. I quattrini possono fare miracoli. Ma anche, ed è questo il caso di Doni, distruggere sogni.

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