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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2011 alle ore 07:43.
L'ultima modifica è del 30 dicembre 2011 alle ore 08:15.

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I repubblicani senza l'economiaI repubblicani senza l'economia

Soltanto nel mese di dicembre, i repubblicani hanno speso 10 milioni di dollari in spot sulle televisioni dell'Iowa, circa 85mila dollari a persona se si considera che ai precedenti caucus del 2008 votarono soltanto 119mila persone (i caucus sono le assemblee cittadine dove gli Iowans si radunano per votare direttamente il loro rappresentante al modo degli indigeni indiani e dei primi coloni). Il fronte dei finanziamenti elettorali è l'unico su cui Obama ha un vantaggio strategico sugli avversari, tanto che gli esperti immaginano che arriverà a spendere un miliardo di dollari per assicurarsi la rielezione.

Salvo sorprese, il prossimo presidente sarà il candidato che avrà convinto gli americani con la ricetta più adatta a uscire dalla crisi. Obama ha iniziato a mutare il suo messaggio in senso populista e a puntare tutto sulla difesa del ceto medio minacciato dalla casta dei ricchi e dei privilegiati. Finora la Casa Bianca si è difesa dai dati sulla disoccupazione e dalla crescita bassa spiegando che le politiche di Obama di stimolo all'economia sono riuscite a evitare una nuova Grande Depressione. I repubblicani hanno avuto un gioco più facile con il martellante slogan «Obama made it worse», Obama ha peggiorato la situazione. Quinto problema, per i conservatori: le ultime quattro volte che il partito all'opposizione ha conquistato la Casa Bianca - nel 1980, nel 1992, nel 2000 e nel 2008 - ha sempre avuto un gradimento popolare superiore a quello del partito al potere. Oggi non è così. L'elettorato non si fida di nessuno dei due partiti, ma i dati sui repubblicani sono peggiori rispetto a quelli dei democratici.

Il cambiamento strategico di Obama è iniziato il 6 dicembre scorso a Osawatomie in Kansas, nella cittadina dove l'ex presidente repubblicano Theodore Roosevelt nel 1910 tenne un famoso discorso diventato il manifesto del Nuovo Nazionalismo. Obama è partito da lì, dal presidente conservatore, per ribadire che il libero mercato è certamente la forza di progresso economico più importante della storia, ma anche per spiegare che 'free market' non vuol dire libertà di fare tutto ciò che si vuole. La libertà economica, ha detto Obama, va usata per diminuire le diseguaglianze. Questo è il cuore del messaggio obamiano per la rielezione, chiaramente influenzato dalle proteste popolari di Occupy Wall Street. Il mese prossimo, con il tradizionale speech sullo Stato dell'Unione, Obama ribadirà in sede istituzionale questo suo ruolo di difensore della middle class. Per quel giorno, il campo repubblicano potrebbe essersi ristretto. Mitt Romney, ex governatore moderato del Massachusetts, resta il favorito del gruppo, perché è il più preparato, il più organizzato e il più adatto ad affrontare le elezioni generali dove sarà necessario ampliare il bacino di voti al centro, non limitarsi a serrare le fila del proprio elettorato.

Non è detto che Romney vinca in Iowa, anche se gli ultimi sondaggi lo vedono per la prima volta in testa. Gli elettori repubblicani dell'Iowa sono molto conservatori, soprattutto sulle questioni sociali e Romney non è il loro candidato naturale, anche perché è di religione mormone. La destra religiosa, sociale e antistatalista dell'Iowa non ha un unico candidato alternativo a Romney e potrebbe dividere i voti tra il super cattolico Rick Santorum, la beniamina dei Tea PartyMichelle Bachmann, il libertario radicale Ron Paul, il governatore del Texas Rick Perry e lo stagionato ex speaker della Camera Newt Gingrich. La dispersione dei voti potrebbe consentire a Romney di vincere o di piazzarsi molto bene, poi di confermare la vittoria qualche giorno dopo in New Hampshire e infine di provare a chiudere il beauty contest a fine gennaio in South Carolina e in Florida. Soltanto allora, Romney si potrà concentrare sul messaggio economico da offrire agli americani per uscire dalla crisi.

Oggi il gruppone repubblicano si limita a dire che Obama è un disastro per il Paese, ma evita di entrare nei dettagli, non interviene nel dibattito in corso al Congresso sull'estensione dei benefici fiscali sulle buste paga né su altri aspetti delle scelte economiche, anche perché le proposte dei singoli candidati sono difficilmente distinguibili le une dalle altre. Tutti i partecipanti alle primarie ripetono il mantra reganiano meno tasse, meno debito, meno intervento dello Stato, dimenticandosi che Reagan aveva spesso sorvolato sui suoi stessi principi.

Anche Romney, come Obama, sembra sul punto di cambiare strategia. Finora si è presentato agli elettori come un businessman pragmatico, un problem solver capace di rimettere in sesto l'economica grazie alle sue capacità manageriali evidenziate nell'esperienza imprenditoriale e di governo. La carta tecnocratica però non è attraente. Ora Romney dice che l'America non ha bisogno di un buon manager, ma di un leader. Spiega che Obama non ha fallito il suo compito perché è un cattivo manager, ma perché ha scelto di condurre il Paese verso un modello europeo. «Ci troviamo di fronte a una scelta - ha detto Romney al Wall Street Journal - Restare un società delle opportunità basate sul merito oppure seguire l'esempio europeo. Io sono quello che crede che l'America sia il modello giusto e l'Europa quello sbagliato».

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