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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2012 alle ore 20:37.

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L'economia azzoppata dagli scarsi turisti e da un moneta a rischio collasso é rientrata solo marginalmente nei programmi e nei comizi dei dodici candidati in competizione. Se è quasi certo che nessuno otterrà la maggioranza assoluta al primo turno, al di la' dei brogli veri o presunti da ogni lato su cui vigilano migliaia di osservatori locali e internazionali, e' possibile che Mursi non arrivi al ballottaggio del 16-17 giugno. Sorprende, in un paese che ha votato in massa alle legislative per "Libertà e giustizia", il partito con cui grazie al benestare dello SCAF i Fratelli mussulmani sono emersi dalla clandestinità dell'era Mubarak. "Il fatto e' che da quando sono al potere non hanno approvato nessuna legge per la gente. Manca la benzina, i prezzi sono aumentati, la situazione dei poveri è peggiorata invece che migliorare. Ecco perché questa volta non li voto" confessa una donna velata di nero, che serve il tè davanti a un seggio elettorale.

La delusione politica, insieme con il timore di una deriva islamista nei settori laici della società egiziana e nella stampa, sta frenando dunque lo slancio dei Fratelli. «La verità è che nessuno vuole un altro monopolio del potere, ma pluralismo», aggiunge uno degli avventori, Muhammad. Lo scheletro della sede dell'NDP, il Partito Nazionale Democratico di Mubarak, bruciato nei giorni della rivoluzione, rimane come un monito annerito nel centro della capitale, tra il fiume e Tahrir.

Nella piazza poche bandiere egiziane sventolano fiacche tra il trambusto persistente del traffico cairota. Cosa è rimasto ai giovani che hanno combattuto e perso la vita qui per un nuovo Egitto? Il coraggio, la mentalità del cambiamento e una stampa libera, commentano alcuni colleghi locali, rimpiangendo il ritiro del candidato ideale della prima ora, l'ex segretario della Agenzia atomica internazionale e Nobel per la Pace, Muhammad El Baradei. Gli occhi di Samira Ibrahim, attivista da quando fu arrestata e sottoposta in prigione a un umiliante test della verginità nel marzo di un anno fa, dicono il contrario. «Non voto per nessuno finché non ci sarà una vera costituzione che delimiti i poteri del parlamento, del governo e del presidente», fiammeggia da sotto un velo rosa pallido. Il comitato, incaricato dal nuovo parlamento di scriverla, è stato boicottato dalle minoranze per protesta contro la composizione troppa islamica dell'assemblea. Una dichiarazione costituzionale aggiuntiva, annunciata dai generali entro le elezioni, non è arrivata. E così ai membri del Movimento del 6 aprile, animato da universitari e attivisti Internet della rivoluzione che ora votano in parte per l'avvocato quarantenne Khaled Ali, non rimane che passare le notti a strappare a rischio di essere pestati i manifesti elettorali di Ahmed Shafiq.

È l'uomo dei militari, preoccupati di mantenere nelle proprie mani una buona fetta dell'economia egiziana e, a giudizio di molti, capaci di intervenire se dovessero riaffiorare le proteste o la spuntasse un presidente non gradito. Ciò che nessuno vuole però al Cairo, a parte i nostalgici della sicurezza che vigeva ai tempi del rais, come ad esempio i cristiani copti, è proprio la presidenza del 71enne Shafiq, ex capo dell'aviazione e ultimo premier del governo Mubarak. La violenza è lontana dal Cairo in questi giorni. Un risultato elettorale sfavorevole ai Fratelli mussulmani al primo turno o una sentenza troppo morbida contro Mubarak (giudicato per l'omicidio di centinaia di dimostranti, insieme con i due figli e altre sette ex ufficiali del regime), entrambi attesi la prossima settimana, potrebbero riaccenderla. Certo invece è che se dalle elezioni uscirà vittorioso Shafiq, il peggiore dei fulul, i resti odiosi del vecchio regime, sarà di nuovo rivoluzione.

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