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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2012 alle ore 13:46.

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E tuttavia quella convinzione dalla loro testa non è mai uscita ed è presumibile che sia riemersa davanti alla crisi in corso, suggerendo una linea di condotta non giacobina, ma prudentemente cinica. Lasciamo che la tempesta scuota l'albero e ci liberi dei rami più fragili (di sicuro la Grecia, e forse non ci commuoverebbe neppure il Portogallo). Se proprio dovremo usare le armi pesanti non lo facciamo ora, facciamolo se e quando il rischio dovesse investire Paesi non necessariamente solidi e virtuosi, ma troppo grossi per cadere senza trascinarsi il resto, come la Spagna e l'Italia.
A ritenere azzardata e controproducente una prospettiva del genere non sono soltanto gli europeisti idealisti, ma anche i più pragmatici osservatori britannici, da Martin Wolf del Financial Times agli editorialisti dell'Economist, che si sono ormai convinti che le armi pesanti vanno messe in campo e che la loro stessa efficacia in buona parte dipende dalla salvaguardia dell'integralità dell'eurozona.

Ci si chiede infatti se, buttando a mare uno dei suoi membri, non si dimostra che essa è tenuta insieme non da una moneta unica, ma da un sistema monetario particolarmente rigido. E se, così stando le cose, non si dice ai mercati che ciò che è successo oggi potrà ripetersi anche in futuro, con il rischio di esporre l'eurozona a un ciclico e ricorrente ripetersi di crisi, che fiaccherebbero a dir poco le sue economie.
endo a riconoscermi in questi argomenti e, forse perché sono fra gli europeisti idealisti, ne aggiungo anche un altro, legato strettamente al destino della Grecia. Abbandonarla a se stessa significa in termini morali ritenerla responsabile dello stato in cui si trova e del contagio che indurrebbe negli altri. Ebbene, le responsabilità della Grecia sono indubbie, dai conti falsificati al sottostante lassismo della sua finanza pubblica, dallo scandaloso e tollerato livello della sua evasione fiscale alla farraginosa inefficienza della sua Amministrazione.

Ma alla disastrata condizione in cui si trova oggi l'ha condotta anche la cura irrealisticamente severa alla quale l'Europa e il Fondo Monetario l'hanno sottoposta, pretendendo riduzioni annue dell'indebitamento annuo che erano impossibili da raggiungere e che hanno dato luogo, insieme, a condizioni ingestibili di tensione sociale e ad accuse quotidiane di inadempienza, seguite da ritardi e riduzioni degli aiuti, che hanno aggravato ulteriormente le cose.
Non si poteva fare di peggio e un'Europa che di quel peggio porta la sua parte di responsabilità non può aspettare inerte che la Grecia cada da sola e soltanto dopo organizzare per gli altri le difese che ad essa ha negato. Sarebbe un'offesa, un'offesa grave, ai principi sui quali l'Unione è fondata. Ma lo so, la storia non la fanno i moralisti, e devo passare a chiedermi se almeno può essere smentita la profezia di chi ritiene indifendibile l'eurozona in futuro, ove si accettasse oggi di metterne fuori un componente.

Devo ammettere qui che gli esperti di cose finanziarie tendono a ritenere che la profezia possa essere smentita e l'eurozona possa quindi essere efficacemente difesa, sempre che, subito dopo l'uscita della Grecia, le armi pesanti vengano attivate davvero. Ed eccoci allora a chiederci se la Germania sarà effettivamente pronta a farlo, sapendo che questo significa allentare la briglia sul collo di Mario Draghi come mai è stato fatto sinora e accettare una qualche forma di mutualizzazione delle garanzie sulle banche e sugli stessi debiti pubblici, adottando magari, per questi ultimi, quel redemption fund proposto proprio dai consiglieri economici della Merkel.

Che dire? Escludiamo una risposta negativa, se non altro perché, se fosse tale, saremmo governati da un'Europa davvero irresponsabile. Il dilemma che vede o un'eurozona fortemente integrata o il disastro non ha alternative.

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