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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2012 alle ore 07:05.
L'ultima modifica è del 05 giugno 2012 alle ore 07:09.

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Da allora, non per ragioni ideologiche, ma perché comprendo l'interesse strategico della nazione tedesca, sono un sostenitore dell'integrazione e dell'imbrigliamento della Germania. L'intesa che instaurai con Giscard d'Estaing aprì le porte a un periodo di cooperazione franco-tedesca e al rafforzamento dell'integrazione, continuati con successo da Mitterand e Kohl. Al tempo stesso, dal 1950-1952 al 1991 la Comunità europea crebbe gradualmente da sei a dodici Stati.
Sul terreno preparato da Jacques Delors, Mitterand e Kohl diedero vita nel 1991 a Maastricht, all'Unione monetaria, concretizzatasi nel 2001. Alla base c'era, la preoccupazione francese per una Germania troppo potente e per un marco tedesco troppo forte. Nel frattempo l'euro è diventato la seconda valuta nell'economia mondiale.

Nelle relazioni interne come in quelle esterne la moneta unica si è rivelata la più stabile del dollaro e di quanto fosse stato il marco nei suoi ultimi dieci anni di vita. Tutto il parlare di questi tempi su una presunta "crisi dell'euro" non è altro che uno sventato ciarlare.
Dal Trattato di Maastricht il mondo ha vissuto grandi cambiamenti. C'è stata la liberazione dell'Europa dell'Est e l'implosione dell'Urss, la straordinaria ascesa della Cina e degli altri "emergenti". L'economia reale è ormai "globalizzata" e gli attori dei mercati finanziari globali si sono accaparrati un potere incontrollato. Al tempo stesso, la popolazione mondiate entro la prima metà del XXI secolo arriveremo a 9 miliardi di persone e gli europei ne rappresenteranno solo il 7% mentre fino al 1950, per ben due secoli, ne costituivano più del 20%. Parimenti diminuisce la quota europea del Pil globale: entro il 2050 si ridurrà al 10% dal 30% del 1950.

Se guardiamo dall'esterno, notiamo che da un decennio la Germania suscita un certo disagio. Sono poi emersi dubbi rilevanti sulla continuità della politica tedesca e sulla sua affidabilità. Tali dubbi nascono anche da errori commessi dai nostri politici e dall'altra parte dalla forza economica della Germania. Tuttavia non siamo sufficientemente consapevoli che la nostra economia è fortemente integrata nel mercato europeo ed è anche largamente dipendente dalla congiuntura mondiale. Andremo perciò incontro a un rallentamento della crescita delle esportazioni tedesche. Allo stesso tempo assistiamo a uno squilibrio nel nostro sviluppo a fronte di una persistente e massiccia eccedenza della bilancia commerciale e delle partite correnti.

Queste eccedenze rappresentano da anni il 5% del Pil e sono pari a quelle della Cina. Non ne siamo del tutto coscienti perché non sono più espresse in marchi tedeschi, ma i politici sono però costretti a prenderne atto. Tutte le nostre eccedenze sono in realtà deficit per gli altri. I crediti che abbiamo verso gli altri sono i loro debiti. Si tratta di una incresciosa lesione dell'«equilibrio nei rapporti economici con l'estero» che un tempo abbiamo elevato a ideale di legge. Questa infrazione preoccupa i nostri partner. E le voci che negli ultimi tempi si sono sollevate, soprattutto dagli Stati Uniti, che pretendono dalla Germania l'assunzione di un ruolo di leader europeo, non fanno che aumentare il sospetto dei nostri vicini, richiamando in vita i temuti fantasmi del passato.

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