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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2012 alle ore 06:46.

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Quella che viene descritta superficialmente come distanza tra popoli e governanti in Europa trova una spiegazione molto semplice: i governanti europei hanno per 10 anni voluto scientificamente aumentare questa distanza.

Qualche esempio?
Oggi si chiede sorveglianza unica sulle banche, ma in passato proprio Francia e Germania sotto la presidenza italiana del Consiglio d'Europa hanno negato una sorveglianza unica sui bilanci degli Stati, cosa assai più semplice. Si dice: serve un demos europeo, un popolo, ma per anni si sono lesinati i fondi per il progetto Erasmus che è il vero strumento con cui l'Europa può creare una nuova cittadinanza consapevole e omogenea. Mi fermo: si potrebbe continuare nel denunciare quello che, di fatto, è il grande fariseismo di chi ha dovuto accettare a denti stretti l'euro.

Che effetto le ha fatto leggere l'accorata perorazione europeista (anche con un po' di autocritica) di Joschka Fischer?
Mi ha molto colpito. È stata un'uscita molto coraggiosa e forte. Dimostra grande senso politico e grande capacità di capire dove va il flusso della Grande Storia. Ma non è il Fischer di qualche anno fa: era partito più prudente sui temi dell'Europa. Ora propone la limitazione dei poteri della Commissione, evidentemente ha capito che siamo sull'orlo del baratro.

Torniamo all'Europa politica a due velocità.
Io parlerei di Europa a più velocità. Lo stesso concetto che è stato applicato all'euro: significa che su specifiche iniziative non tutti i Paesi aderiscono o possono aderire; non è una novità nella storia dell'Unione Europea. L'idea della doppia velocità, però, è insidiosa perché sottintende una divisione quasi sistemica e predefinita tra Paesi. Bisogna immaginare una struttura variabile che, alla fine, lasci sempre aperta la porta per l'ingresso dei Paesi che si adeguano ai nuovi standard. Non deve passare un'idea di club chiuso. Il tema delle diverse velocità deve comunque restare perché è figlio della fine dell'unanimismo.

Dunque serve un'Europa che decida a maggioranza?
L'Europa futura, se vuole sopravvivere, deve finire con la prassi vergognosa dell'unanimità. Questo atteggiamento ha impedito ad esempio una politica estera degna di questo nome: se l'Europa, sui più delicati temi globali e nelle zone dove sono presenti le più rilevanti tensioni internazionali, non ha voce, non si vede, non conta è perché ancora ci sono divergenze tra i singoli Paesi. E questo è un danno grave per gli equilibri mondiali. Ad esempio perché renderà sempre meno vicino l'ingresso della Turchia nell'Europa. Ankara elabora politiche estere con impressionante velocità e in modo del tutto indipendente su quadranti delicati come ad esempio l'Iran o il Medio Oriente assumendo un ruolo sempre più influente, anche più influente della stessa Unione Europea.

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