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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2012 alle ore 08:09.

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Ci sono almeno due critiche da avanzare a questa pur lodevole iniziativa. Primo: la scelta del presidente indica che si guarda ancora al problema come un puro rapporto di correttezza fra le parti in causa dei contratti finanziari, sia pure su una scala mai vista. E infatti è così, ma proprio la dimensione del problema (e la sua continuità nel tempo) lo rende assai più grave, perché determina un vero e proprio problema di stabilità. La vicenda del Libor rischia di veder precipitare sulla testa delle principali banche mondiali un'autentica valanga di cause civili per importi miliardari, che possono richiedere accantonamenti tali da pregiudicare l'azione di ricapitalizzazione che le autorità di tutto il mondo stanno faticosamente realizzando. Dunque la posta in gioco è molto più alta di quanto la nomina inglese faccia presumere.

Secondo: occorre che la riforma del Libor venga studiata a livello internazionale, perché gli interessi coinvolti non sono certo solo quelli della piazza finanziaria londinese. È bene quindi che scendano in campo le banche centrali (per le implicazioni di stabilità appena ricordate), magari attraverso organismi internazionali come la Banca dei regolamenti internazionali o il Financial stability board. Il processo di revisione delle regole della finanza internazionale ha già registrato troppi ritardi o troppe soluzioni insoddisfacenti per lasciare a un solo Paese l'iniziativa in una riforma così importante.
C'è un altro motivo per cui la mossa delle procure americane segna una svolta importante nello scandalo. Le prime impressioni e la stessa scelta della legge su cui basare i capi d'accusa sembrano infatti indicare la volontà di andare al processo e di arrivare a un verdetto di colpevolezza.

Troppo spesso, infatti, negli Stati Uniti le autorità di vigilanza o i pubblici ministeri si sono accontentati di transazioni che, per quanto consistenti negli importi, hanno avuto effetti controproducenti. Non solo infatti non sono mai abbastanza consistenti da avere un vero effetto deterrente (si pagano milioni a fronte di guadagni di miliardi), ma soprattutto danno alle banche colte con le mani nel sacco la possibilità di comprarsi un'aura di rispettabilità, visto che, come avviene da noi per i patteggiamenti, la sanzione non comporta un giudizio di colpevolezza. E così Goldman Sachs e Standard Chartered (per citare solo i casi degli ultimi giorni) risolvono per sempre due questioni su cui erano già stati rivelati elementi molto gravi, nel primo caso addirittura da un'indagine parlamentare molto accurata e severa. Ancora più numerose sono le transazioni compiute dalla Sec negli ultimi tempi.

Ma il compito delle autorità di vigilanza (e delle pubbliche accuse) non è quello di massimizzare il "fatturato" in termini di sanzioni alle banche, ma di garantire il rispetto delle regole fondamentali e farci capire in modo meno ambiguo chi sono i veri responsabili dei tanti comportamenti illegittimi o addirittura fraudolenti che hanno portato alla crisi finanziaria più grave della storia. Forse il processo che si svolgerà prima o poi a New York è la volta buona. Vale la pena prenotare un biglietto.

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