Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2012 alle ore 15:40.

My24

A un anno e mezzo dall'incidente di Fukushima, il Giappone ha deciso: darà addio all'energia nucleare entro gli Anni '30 del 2000. Il nuovo piano energetico nazionale approvato dal Governo del premier Yoshihiko Noda rappresenta una completa inversione di tendenza rispetto a quello varato prima della peggiore crisi atomica da Chernobyl, che prevedeva un aumento dal 30% a oltre il 50% della copertura del fabbisogno energetico nazionale con l'energia nucleare. È una decisione che avrà profonde ripercussioni politiche ed economiche, sia al'interno sia sul piano internazionale.

Una vittoria dell'opinione pubblica. Tokyo non avrebbe mai deciso di abbandonare l'energia atomica in mancanza di forti pressioni da parte di vasti strati dell'opinione pubblica e la crescita del movimento anti-nucleare. Gli ambientalisti possono così celebrare quella che considerano una vittoria contro potenti lobby industriali, politiche e militari, che sembrava difficile da raggiungere: basti pensare che l'ex premier Naoto Kan aveva dovuto dimettersi anche per la sua completa opposizione al nucleare e Noda l'aveva rimpiazzato con un programma dichiaratamente possibilista.

Una vittoria per le energia alternative. Noda ha dovuto prendere atto dell'impossibilità di garantire condizioni politiche per la futura apertura di nuove centrali in un Paese che corre continuamente il rischio di spaventose catastrofi naturali. Il nuovo piano energetico stabilisce che l'operatività dei reattori sia strettamente vincolata al limite di sicurezza di 40 anni: quindi nel corso degli anni 30 del 2.000 gli ultimi reattori dovranno per forza essere messi fuori uso. È una tempistica più lunga di quanto deciso dalla Germania (che prevede la fuoriuscita dal nucleare entro un decennio) ma il messaggio è chiaro: i grandi investimenti dovranno essere effettuati sulle energie alternative e nel frattempo dovranno essere destinate maggiori risorse all'importazione di fonti di energia tradizionali. L'allarmismo di chi paventava una crisi energetica, del resto, si è rivelato eccessivo: il Paese è riuscito a passare l'ultima calda estate senza blackout anche se l'elettricità prodotta da fonti nucleari si è ridotta a una quota insignificante: a maggio, per un breve periodo, tutti i 50 reattori sono stati fuori uso per precauzione o manutenzione e la contestata riapertura di due reattori non ha cambiato il nuovo panorama energetico. I recenti incentivi introdotti alla diffusione delle energie alternative stanno già dando importanti risultati. I costi extra per l'energia, comunque, stanno pesando sulla bilancia commerciale nipponica.

I dubbi politici. Gli ambientalisti invitano alla vigilanza perché il piano, prospettando una fuouriuscita a lungo termine, potrebbe rilanciare le pressioni per la riattivazione di altri reattori sul breve periodo. Inoltre la decisione è stata presa da un governo in scadenza guidato da un partito politico destinato a perdere le prossime elezioni, che potrebbero essere anticipate entro la fine dell'anno. Futuri esecutivi, insomma, potrebbero essere più "elastici" anche se difficilmente è ipotizzabile un dietro-front.

Le conseguenze internazionali. Si tratta di una battura d'arresto per l'intero settore dell'energia nucleare che, data la sua natura interconnessa sul piano internazionale (dalla costruzione di centrali al riciclaggio del combustibile nucleare spento, fino alle implicazioni sulla sicurezza nazionale), sta provocando preoccupazioni in Usa, Francia e Gran Bretagna. La diplomazia giapponese ha cercato di rassicurare questi Paesi, sottolineando che il nuovo piano energetico è a lungo termine e consentirà di gestire la transizione in modo appropriato e flessibile. Molti Paesi emergenti non hanno intenzione di rinunciare al proposito di aumentare o introdurre l'energia nucleare, ma la decisione nipponica potrebbe contribuire a far decollare movimenti "no nukes": rischia di assumere un sapore neo-colonialista, insomma, l'acquisto di centrali da una Toshiba che non può più costruirle nella sua patria per motivi di sicurezza.

Gli effetti sui mercati. Ci sarà meno domanda per l'uranio: del resto, in anticipazione della decisione di Tokyo, questa settimana i suoi prezzi spot hanno già cominciato a calare, scendendo ai minimi da quasi due anni (-10% nell'ultimo anno). Al contrario, la richiesta di molte materie prime legate all'energia è destinata ad aumentare oltre le passate proiezioni. Il Giappone è il terzo importatore mondiale di petrolio e continuerà dunque a richiedere grandi quantità di petrolio, carbone e gas. Sarà una bonanza, in particolare, per il settore del gas naturale liquefatto (Lng) di cui Tokyo è già il maggiore importatore mondiale. Per il Giappone, poi, diventa quasi impossibile rispettare i precedenti impegni sulla riduzione delle emissioni nocive nell'atmosfera. È probabile, insomma, che ci sarà più Co2 nell'atmosfera, prima che l'arrivo di avanzamenti tecnologici che diffondano più rapidamente le energie alternative consentano una sua riduzione. L'incentivo agli investimenti in questo campo si è rafforzato. Anche fuori dal Giappone.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi