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Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2012 alle ore 15:01.

Fabio Perini si è rimesso al lavoro. Dopo aver rivoluzionato il mondo della vela trent'anni fa grazie all'ideazione di un sistema di controllo che può essere manovrato da una sola persona, il fondatore di Perini Navi sta progettando nuovi winch (i verricelli con cui si avvolgono le vele) adatti a barche di grandi dimensioni, dai 60 metri in su. «In fondo continua a fare il suo lavoro – scherza l'amministratore delegato del gruppo Giancarlo Ragnetti alludendo all'altra attività di Perini, la produzione di macchine per la lavorazione della carta – noi avvolgiamo scotte, loro rotoli di carta, che viaggiano a settanta chilometri all'ora».
Il gruppo toscano è riuscito ad attraversare indenne la crisi che ha rischiato di travolgere la nautica italiana. Ha chiuso il 2011 con un fatturato consolidato di 88,9 milioni, un Ebit di 5 milioni e un portafoglio ordini di 170 milioni. Quest'anno sará in linea, con un lievissimo calo dei ricavi. Il mercato è ancora molto debole, spiega Ragnetti, «ma i telefoni hanno ripreso a squillare» e c'è richiesta, soprattutto per le barche molto grandi, dai 60 metri in su. Oggetti impegnativi, e non solo per la stazza. Per realizzare imbarcazioni di questo tipo si impiegano dai tre ai quattro anni, materiali speciali (in prevalenza di carbonio) e si immette un alto tasso di tecnologia. «Soprattutto per il controllo della parte velica: le nostre barche sono molto potenti, ma facili da portare, sicure e confortevoli».
Perini guida saldamente la nicchia superesclusiva delle grandi navi a vela: con 52 barche prodotte detiene il 51% del mercato, per il resto diluito tra una decina di altri cantieri in giro per il mondo. Il prossimo varo, tuttavia, non sará l'ennesimo sloop ma uno yacht a motore del cantiere spezzino Picchiotti, acquisito dal gruppo qualche anno fa. È un 73 metri, terza unità a motore della serie Vitruvius (le precedenti sono un 50 e un 55 metri) costruita da Perini Navi in collaborazione con il progettista Philippe Briand. Una barca che nasce nel segno della sostenibilità, dotata di un sistema di propulsione diesel-elettrica. «Nelle nostre navi a motore – spiega Ragnetti – utilizziamo le stesse carene delle imbarcazioni a vela, che consentono di avere più spinta e consumare di meno. E grazie a software di controllo simili a quelli utilizzati dalle piattaforme di trivellazione otteniamo un posizionamento dinamico». Che significa, tenere ferma una nave di quelle dimensioni senza calare l'ancora.
Tecnologia, innovazione, comfort. Le stesse parole d'ordine dal 1983, quando Fabio Perini ha inventato il reel captive winch per governare una grande barca come fosse una deriva per principianti. «Valori a cui non rinunceremmo mai», sottolinea Ragnetti, anche se oggi il contesto è mutato e tutti fanno più fatica. I clienti sono spaventati, racconta, soprattutto gli stranieri, impauriti dal rischio di ulteriori norme restrittive, tanto che «vorrebbero che fosse il cantiere a farsi carico di qualche nuova tassa in arrivo». Il gruppo mantiene un forte bacino di utenza in Europa e negli Stati Uniti. Il mercato cinese è ancora "acerbo" e al mondo arabo non interessa la vela. Nei tre cantieri di proprietà – oltre allo storico di Viareggio, Picchiotti a La Spezia e Perini Istanbul a Yildiz, dove si costruiscono gli scafi più grandi – lavorano 250 dipendenti.
Gli armatori delle barche Perini sono grandi nomi dell'imprenditoria mondiale e formano una sorta di club. Ogni due anni si ritrovano in Costa Smeralda per la Perini Cup, evento sportivo e mondano, tanto che gli equipaggi mettono altrettanto impegno nelle regate e nella gara di cocktail. Sono esigenti e a volte eccentrici. Tom Perkins per il suo Falcone Maltese, clipper da 88 metri, ha preteso tre alberi in fibra di carbonio auto-rotanti e 2.500 metri di superficie velica. Ma per fortuna si affezionano al marchio. Rupert Murdoch per decidere il suo secondo Perini ha impiegato solo due giorni. Di solito, a chiudere un contratto si possono impiegare anche tre anni.
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