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Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2012 alle ore 21:28.

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E' tutto qui il problema. Il rischio è una cosa, la previsione un'altra, il pericolo un'altra cosa ancora. Sapere che ci sarà probabilmente un terremoto in quella zona è diverso da sapere quando e soprattutto dove sarà l'epicentro e quanto profondo e a che ora e in quale giorno.
A l'Aquila, una città di edifici vecchi e trascurati, ad iniziare da quelli dello Stato Italiano, emblematica la Prefettura la cui facciata è diventata l'icona del terremoto, a quelli dove disgraziatamente hanno trovato la morte giovani studenti che dovevano essere lì per formarsi ad un domani che non avranno, il rischio è diventato pericolo. E poi certezza. Il pericolo aumenta smisuratamente in Italia dove non c'è alcuna cultura della prevenzione, non si curano gli edifici, neppure le scuole dove mandiamo i nostri figli, e lo sappiamo perché il rischio c'è in buona parte del Paese, compresa la placida Pianura Padana, dove scorre lento il fiume Po, che si scopre ora essere terra che più volte ha conosciuto terremoti negli ultimi 1000 anni. E che sono mai mille anni per la Terra ?

Il rischio c'e' in California e Giappone, ma in Italia il rischio diventa pericolo e spesso certezza , anche in caso di terremoti non tremendi, dal punto di vista geologico, come quello in Emilia. Il motivo è semplice le case sono vecchie, quelle nuove spesso fatte come quelle dell'Aquila ancora da abitare, venute giù peggio delle vecchie.

Lasciamo perdere le varie strampalate, e queste si pericolose, teorie sui segni premonitori dei terremoti, dalle rane che si agitano al radon che aumenta, e veniamo al rischio: prendiamo le parti del pubblico ministero: "Una corretta analisi dei rischi e una corretta informazione avrebbero potuto, in primo luogo, suggerire misure di prevenzione a livello collettivo quali, ad esempio, la previa selezione e individuazione di luoghi di raccolta da comunicare alla popolazione, indicazioni sulle vie di fuga, su come radunarsi, su come prestare assistenza o abbandonare le abitazioni danneggiate, l'allestimento o il potenziamento di mezzi di soccorso immediatamente operativi, l'aumento della recettività ospedaliera e delle strutture di primo soccorso, o anche una più generale consapevolezza e una più ampia preparazione all'emergenza. Inoltre una corretta analisi dei rischi e una corretta informazione avrebbero potuto senz'altro suggerire misure di prevenzione a livello individuale…"

In una Paese in cui qualche cantina allagata mobilita un migliaio di operatori e poi ci sono disastri ambientali come quello di Genova di un anno fa senza che nessuno riesca a fare nulla , gridare all'emergenza maltempo è realistico ? Siamo pronti a valutare il rischio, a fermare una città e portarla sotto le tende perché forse ora, o forse tra un anno, ci sarà un terremoto non proprio fortissimo , 6.3 della scala Richter, anche se non sappiamo se l'epicentro sarà qui o a 100 chilometri di distanza ? E poi per favore riflettiamo, un terremoto tale che in Giappone o California neanche ci fanno caso o quasi, dato che il rischio non si tramuta in pericolo e questo in distruzione e morte. E se venisse si, ma fra 10 di anni ? Le domande qui sopra non sono retoriche, assicuro. Il problema è grave, gravissimo. Da una parte scienziati "disperati" , come Enzo Boschi, un grande geofisico, dall'altra 309 morti e una città fantasma. Ma che c'entrano i sei scienziati condannati ? Eì colpa loro il terremoto? Dovevano prevederlo?

E poi la Giustizia e la Scienza, nel Paese che ha inventato entrambe, con Galileo Galilei e Cesare Beccaria: Serve chiarirsi bene le idee e soprattutto comunicarle: chi ha sbagliato delle due, se mai uno sbaglio c'è, la Giustizia o la Scienza ? Dirle al mondo intero però, perché non pensi di noi anche peggio di quel che già pensa. E che meritiamo o meno.

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