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Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2012 alle ore 09:55.

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Due anni fa, al Meeting di Rimini, Mattei è stato uno degli "eroi" di una delle mostre sui 150 anni dell'Unità d'Italia inaugurate personalmente dal presidente Giorgio Napolitano. Era dichiaratamente una mostra sul ruolo dell'"altra Italia" nella lunga e faticosa costruzione di un Paese: non l'Italia della tradizione laico-risogimentale, neppure quella del grande capitalismo industriale. Certamente non quella del regime fascista, ma neppure quella della lunga contrapposizione tra cattolici e comunisti. L'Italia che non perde la voglia di identità anche quando si misura fuori confine. L'Italia nata povera e divenuta non più povera. L'Italia che studia poco o disordinatamente, ma si guadagna sul campo lauree "ad honorem". Un'Italia con i suoi pregi e i suoi difetti, con i suoi ideali e i suoi errori, con le sue guerre vinte e quelle perse. Eternamente imperfetta, sia che la si guardi con le categorie dell'economia di mercato, sia con quelle dell'efficienza trasparente delle istituzioni politiche. Ma anche l'Italia che in ogni punto della sua sterminata "provincia" è capace di inventare grandi visioni, grandi aziende, grandi italiani. L'Italia di Mattei.

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