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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2012 alle ore 08:15.

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Il ministro dell'Economia Vittorio Grilli è andato anche più in là. Nel senso che ha difeso la politica economica del Governo definendola «giusta e l'unica possibile» in questa fase. Dunque, nessuna variante è possibile? La legge di stabilità per il 2013, che da domani entra nel tunnel degli emendamenti in commissione bilancio della Camera, è stata oggetto di critiche - in particolare sull'agenda fiscale - da parte dell'intera "strana" maggioranza, compreso il partito più filo-Monti, cioè l'Udc, e delle parti sociali.
Ecco un altro capitolo di questo autunno politico che ha virato nel segno dell'incertezza. Lo stesso Monti, che ha ottenuto a Bruxelles di ragionare in termini di pareggio di bilancio a saldi "strutturali" (cioè depurati dagli effetti del ciclo economico negativo) si è detto disponibile a cambiare e ha sollecitato un accordo tra i partiti fermi restando i saldi di una manovra che impatta per 11,6 miliardi nel triennio 2013-2015.

Ora la partita entra nel vivo dopo i risultati del voto siciliano che stanno rimescolando le carte all'interno della maggioranza con due partiti (il Pd ed il Pdl) alle prese con le primarie e il terzo, l'Udc di Pierferdinando Casini, impegnato nella costruzione del centro dei "moderati". E sarebbe semplicemente irresponsabile, va detto con chiarezza, rompere gli ormeggi e trasformare la legge di stabilità nella stanza di compensazione elettoralistica delle tensioni tra i partiti della maggioranza e all'interno di ciascuno di essi, in particolare Pd e Pdl. Gettando a mare in un colpo quanto di buono si è fatto nel corso di un anno dopo essere stati vicinissimi al crack.
Tuttavia è un fatto, sul terreno dei contenuti, che la manovra così prospettata, come messo in evidenza dalla Banca d'Italia, dalla Corte dei Conti e anche ieri dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, rischia in pratica di avvitarsi nella spirale di un rigore di bilancio fine a se stesso che né restituisce fiducia né riavvia la crescita. Mentre una sua diversa ricomposizione (a proposito, dove sono finiti i costi standard per la spesa pubblica, in particolare quella sanitaria?) potrebbe dare una scossa alla "questione fiscale", sempre più pressante e invasiva, attraverso un taglio sostanzioso al cuneo fiscale sul lavoro. Senza scassare il bilancio, colpi come questo, e non altri, servono per la ripresa. E per abbassare lo spread.

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