Il Sole 24 Ore
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15 gennaio 2013

Armstrong e il doping, parla l'esperto Donati: «Sfuggire ai controlli è ancora troppo facile»


Da oggi non ci sono più dubbi. Lance Armstrong, il fuoriclasse del ciclismo internazionale, una leggenda per chi segue da vicino il mondo dei pedali anche e soprattutto per via dei 7 Tour de France consecutivi vinti dal corridore nel periodo 1999-2005, ha fatto uso di sostanze dopanti.

Secondo alcune indiscrezioni, nel corso dell'intervista con Oprah Winfrey che andrà in onda negli Usa giovedì prossimo, Armstrong avrebbe dato ragione a chi da tempo lo additava come un abile truffatore. Anche lui si dopava, come moltissimi altri. L'Unione ciclistica internazionale ne era convinta dallo scorso ottobre, quando decise di revocare tutti i titoli vinti dal ciclista in carriera, Tour de France compresi.

Per più di due lustri, Armstrong ha coperto una verità che stamani si è rivelata in tutta la sua drammaticità. Il texano correva e vinceva a mani basse, senza che i controlli antidoping riuscissero a smascherarlo. Possibile che l'abbia sempre fatta franca? Possibile che nessuno sapesse? Possibile che non si potesse intervenire in qualche modo? L'abbiamo chiesto ad Alessandro Donati, ex tecnico delle nazionali di atletica leggera e rappresentante europeo della Wada (World antidoping agency), che ha recentemente dato alle stampe il libro "Lo sport nel doping. Chi lo subisce e chi lo combatte" (Edizioni Gruppo Abele).

L'aveva data a bere anche a lei?
No, guardi, sinceramente no. Per due ragioni. Nel 1999 mi chiamò un giornalista francese di France 2 (il secondo canale della tv pubblica transalpina, ndr) per raccontarmi che era entrato nella stanza di Armstrong in una tappa del Tour de France e che aveva trovato una fiala che conteneva una sostanza che poi si scoprì essere utile a stimolare la produzione di globuli rossi. Per me, era quindi già chiaro da allora che il ciclista statunitense facesse uso di doping. Poi, sono amico di David Walsh, il giornalista del Sunday Times che nel 2004 ha pubblicato il libro "L.A. Confidential, i segreti di Lance Armstrong", in cui ha raccolto moltissime testimonianze a proposito. Per intenderci, il libro di Walsh comincia in una stanza di ospedale il giorno prima dell'operazione per rimuovere il tumore ai testicoli che aveva colpito Armstrong. L'anestetista chiede al ciclista quali farmaci avesse assunto nell'ultimo mese e l'americano gli snocciola un elenco interminabile. Con lui, c'era un compagno di squadra che in quel momento fa per uscire dalla stanza, ma viene fermato dallo stesso Armstrong, che gli dice: "Puoi benissimo restare, perché quello che ho preso io, l'hai preso anche tu". Come dire, era tutto chiaro. E da tempo. Ma si è fatto finta di niente.

Un criminale di professione, astuto e imprevedibile. Come è possibile che sia riuscito negli anni a sfuggire negli anni a tutti i controlli?
La prima risposta: è facile sfuggire ai controlli. Perché ci sono molte sostanze che non sono rilevabili. E quelle rilevabili possono essere gestite in microdosi e con interruzioni nel giorno opportuno. Per cui, si riesce abbastanza facilmente a non essere trovati positivi. La seconda risposta: per molte sostanze non ci sono proprio metodi di analisi che permettano di rilevarle. Come consulente delle procure della Repubblica, mi capita di leggere intercettazioni telefoniche che riguardano indagini sui casi di doping. Bene, scopro lì tanti metodi facili che i medici, diciamo così, "dopatori", e gli atleti dopati adottano per risultare negativi. L'errore sta proprio qui. Nel considerare i controlli antidoping un metodo di controllo affidabile. Sono invece una groviera facilissima da penetrare.

Armstrong senza doping, un ciclista qualsiasi?
Non c'è il minimo dubbio, certo che sì. È chiarissimo, lo spiega la sua carriera precedente. Era un passista che aveva grosse difficoltà in salita. Quello che è riuscito a fare in seguito richiedeva una potenza respiratoria, meglio, aerobica, nettamente superiore a quella che possedeva in precedenza. E si tratta di doti naturali, non possono cambiare da un anno all'altro soltanto grazie all'allenamento. Il suo cambiamento è stato invece radicale. È stato come se fosse diventato un altro soggetto, che nulla aveva a che fare con l'Armstrong di qualche mese prima.

Insomma, tutto chiaro, tutto evidente. Ma allora perché non si è deciso di intervenire?
Perché Armstrong rappresentava per moltissimi la gallina dalle uova d'oro. Se l'americano non avesse partecipato al Tour de France, il valore commerciale della manifestazione sarebbe stato sicuramente inferiore. Da qui, si capisce che fossero implicite le protezioni nei confronti di una grande stella che poteva cambiare le logiche di una rassegna internazionale.

Basso, Contador, Vinokurov, Di Luca. Armstrong è soltanto l'ultimo dei grandissimi del ciclismo ad aver vinto gare e titoli con l'aiuto di sostanze proibite. Eppure il doping è diffuso anche in altri sport...
Tante volte ho provato a far capire che nel ciclismo i casi di positività sono più frequenti perché gli atleti gareggiano moltissimo durante l'anno. Negli altri sport, invece, è tutto rovesciato. Sono lunghi i periodi di allenamento e poche sono le gare. Per cui l'atleta che vuole usare sostanze proibite ha il tempo e il modo per organizzarsi, vallo a pescare. E poi, non ha bisogno nemmeno di usare dosi massicce per raggiungere il risultato che si prefigge. La verità è che il ciclismo finisce per fare da ombrello che copre le realtà degli altri sport. Pensiamo al caso Schwazer e ce ne rendiamo conto...

Di doping nel calcio però non se ne sente parlare quasi mai, se non quando interessa giocatori delle serie inferiori...
Fino al 1998 si diceva che i calciatori erano sempre negativi ai controlli perché il doping nel calcio non c'era. Anche se questo contrastava con le dichiarazioni di Carlo Petrini e di Ferruccio Mazzola, che sostenevano l'esatto opposto. Poi, proprio nel 1998 ci fu lo scandalo del laboratorio antidoping di Roma, dal quale emerse che i campioni di urina non venivano quasi mai analizzati per verificare la presenza di ormoni anabolizzanti. Il laboratorio fu chiuso per sei mesi. Durante i quali vennero a galla ben 11 casi di positività per anabolizzanti. Come dire, il doping c'era nel calcio, eccome. Dopo di che, è scomparso di nuovo. Possibile? Il sistema si è riassestato, perché quegli 11 casi creavano molti problemi e si è tornati nuovamente a quota zero. È diventato un fiume carsico che si è inabissato per proteggere i propri interessi...

Da tempo si dice: «Il doping è sempre un passo più avanti dell'antidoping, ecco perché non è facile risolvere una volta per tutte il problema». La pensa così anche lei? Cosa si dovrebbe fare per cambiare le cose?
No, non la penso così. Detta così sembra quasi che chi si dopa sfrutti tecnologie avanzatissime e che abbia grandi conoscenze nell'ambito delle scienze farmacologiche. Non è così. Chi si vuole dopare, prende in commercio i nuovi farmaci che vengono utilizzati per la cura di persone malate e li provano finché non funzionano. Per questa ragione sarebbe necessario che il sistema antidoping, all'uscita di un nuovo farmaco, trovasse immediatamente il modo per rilevare quella sostanza negli atleti. Invece, solitamente si procede con anni di ritardo. E in questa maniera è stato creato spazio per la diffusione del doping. Si tratta di colpe storiche e gravissime del sistema sportivo, delle quali la politica si è sempre disinteressata.


15 gennaio 2013