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Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2013 alle ore 13:08.

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Del primo passo reale compiuto ieri dal Piano città vanno sottolineati due dati positivi e tre aspetti problematici. Il primo dato positivo è che l'Italia torna ad avere uno strumento di politica urbana nazionale dopo dieci anni di silenzio. L'Italia si mette in linea con i grandi Paesi europei che della riqualificazione urbana hanno fatto un motore di sviluppo. La ricomparsa della città sulla scena nazionale coincide con la definitiva archiviazione della stagione delle «grandi opere» che aveva monopolizzato risorse e attenzioni dalla «legge obiettivo» del 2001.

Da tempo la politica di priorità assoluta alle grandi opere non aveva più il consenso di un tempo e molte proposte erano state avanzate sulla necessità di avviare una politica per le «piccole opere». Nonostante qualche delibera programmatica del Cipe, però, uno strumento organico come il Piano città ancora non si era visto. Quello di ieri è invece un paletto destinato a restare: il Piano sarà riproposto ogni anno e molti progetti scartati costituiranno un serbatoio e una vetrina di potenzialità.

Il secondo dato positivo è nei tempi con cui l'operazione è decollata. Il merito va alla volontà del viceministro Ciaccia che ha pungolato i protagonisti dell'iter e ha trovato con la cabina di regìa un luogo di confronto istituzionale che ha lasciato fuori i conflitti fra Stato e Comuni. Fatto unico.

Il primo aspetto critico è la scarsità di risorse. I progetti selezionati sono meno del 7% di quelli presentati (la selezione potrebbe pure andare bene). Anche per i 28 progetti selezionati, però, il finanziamento è molto inferiore rispetto al richiesto. Anche il dato fornito di 4,4 miliardi di investimento complessivo risulta così falsato perché a essere avviata è, in molti casi, solo parte del progetto. Per il futuro bisogna usare i fondi Ue che saranno, solo per le città italiane, almeno un miliardo l'anno.

Il secondo aspetto critico, tutto da verificare via via che i progetti andranno avanti, è la qualità degli investimenti perché i piani di riqualificazione urbana del passato (Pru, Prusst, contratti di quartiere) hanno prodotto risultati inferiori alle aspettative. I programmi integrati sono complessi, quelli troppo semplici rischiano di essere sostitutivi di interventi ordinari. Non c'è dubbio, però, che i piani per Torino quartiere Falchera, Milano Bovisa, Roma Pietralata, il waterfront di Rimini, Mestre centro storico sono ambiziosi.

Ultimo aspetto critico, i tempi d'ora in avanti. È importante che il nuovo Governo prenda a cuore la questione e spinga perché i tempi di apertura dei cantieri siano accorciati, con un pressing pari a quello esercitato finora dal ministero delle Infrastrutture. Sarebbe bene mettere una tagliola: partire entro una certa scadenza oppure si azzera il finanziamento.

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