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Questo articolo è stato pubblicato il 20 febbraio 2013 alle ore 13:07.

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Nel labirinto dei premi di maggioranza...
La diversa modalità di elezione di Camera e Senato è forse il difetto più grave dell'attuale legge elettorale in presenza di un sistema parlamentare basato sul bicameralismo perfetto e sulla doppia fiducia all'Esecutivo. La differenza più macroscopica riguarda l'assegnazione del premio di maggioranza.
Alla Camera il premio è attribuito in ambito nazionale e scatta nel caso in cui la lista o la coalizione di liste che ha ricevuto il maggior numero di voti in ambito nazionale non raggiunga la quota di 340 seggi, pari a circa il 55% del totale. In tal caso a tale lista o coalizione di liste vengono assegnati i seggi aggiuntivi necessari per raggiungere la quota di 340. I restanti 277 seggi (vanno sottratti i 12 seggi attribuiti alla circoscrizione Estero e l'unico seggio spettante alla Val d'Aosta) sono ripartiti proporzionalmente tra le altre liste secondo il metodo dei quozienti naturali e dei resti più alti.

Per il Senato invece, al fine di rispettare il principio costituzionale secondo cui esso è eletto «su base regionale», il legislatore del 2005 ha ritenuto di introdurre un premio di maggioranza regionale. Alla lista o coalizione di liste che abbia ottenuto il maggior numero di voti nella regione è quindi attribuito un numero di seggi ulteriore pari a quello necessario per raggiungere il 55% dei seggi assegnati alla medesima regione. Il premio di maggioranza di fatto non opera per il Molise, dove i soli 2 seggi previsti sono assegnati su base proporzionale. Con la rappresentanza dei partiti molto diversificata sul territorio, è dunque alto il rischio che la coalizione vincente alla Camera non abbia la maggioranza in Senato: è oggi il caso del Pd di Pier Luigi Bersani, alleato con Sel, che nelle popolose Lombardia e Sicilia rischia di non aggiudicarsi il premio regionale sfalzando così la rappresentanza tra le due Camere.

... e delle soglie di sbarramento
L'altra differenza importante tra Camera e Senato riguarda le soglie di sbarramento. Alla Camera accedono alla ripartizione dei seggi le coalizioni di liste che abbiano ottenuto il 10% dei voti validi (e le liste al loro interno che abbiano ottenuto almeno il 2%); le singole liste non coalizzate accedono invece alla ripartizione dei seggi solo se abbiano ottenuto il 4% dei voti validi. Mentre al Senato accedono alla ripartizione dei seggi le coalizioni di liste che abbiano ottenuto almeno il 20 per cento dei voti validi (e le liste al loro interno che abbiano ottenuto almeno il 3%); le singole liste non coalizzate accedono invece alla ripartizione dei seggi solo se abbiano ottenuto l'8% dei voti validi. Si tratta di un sistema di soglie evidentemente pensato in un ottica fortemente bipolare, come in effetti è stato nelle ultime legislature con i due poli – centrodestra e centrosinistra – direttamente fronteggiantisi con percentuali al di sopra del 40%.

Il bipolarismo perduto
In un momento in cui il sistema bipolare è diventato almeno tripolare se non quadripolare – con la presenza di Mario Monti e di Beppe Grillo – il meccanismp delle soglie rischia di avere effetti un po' paradossali. La centrista Scelta civica, ad esempio, difficilmente raggiungerà in Senato la percentuale del 20% richiesta per partecipare come coalizione alla ripartizione dei seggi: da qui la decisione di presentare una lista unica puntando a superare la soglia dell'8% prevista per le liste non coalizzate. Quanto alla Camera, i centristi sono sicuri di superare agevolmente lo sbarramento del 10 per cento previsto per le coalizioni. Ma se ciò non dovesse accadere si applicherebbe la soglia del 4% a tutte le liste collegate: entrerebbe dunque a Montecitorio solo la montiana Scelta civica e resterebbero probabilmente fuori i partiti di Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, lontani dal 4 per cento.

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