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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2013 alle ore 19:46.

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Alla fine del primo giorno Siri – i vaticanologi sono concordi – era a meno di dieci voti dal quorum di 77. Però lo schema dei primi quattro scutini era stato molto diverso da quello di agosto. A Siri si era contrapposta subito la candidatura di Giovanni Benelli, giovane riformista di Curia, spedito negli ultimi anni a Firenze da Paolo VI per maturare un'esperienza pastorale. Un mix di forzature, "moral suasion" e concessioni sui futuri organigrammi avrebbe forse consentito a Siri di diventare Papa la mattina dopo (fu questo ad esempio lo schema favorevole a Giovanni Battista Montini nel 1963, nonostante le fortissime resistenze della Curia). Ma Siri non era uomo da compromessi e la spaccatura nel conclave era ormai troppo profonda. Serviva un altro schema e lo trovò l'austriaco Konig: con l'autorevolezza che gli aveva dato nel conclave di agosto l'essere stato il non italiano più votato.

E' logico che i colleghi europei (spagnoli, olandesi, francesi, tedeschi) chiedano anzitutto a lui di scendere in campo per superare l'impasse italiana. Konig rifiuta ma lancia subito Wojtyla e in una notte insonne fra i più attivi a sondare le cellette degli elettori è lo "junior" Ratzinger. Al quinto scrutinio, tuttavia, Wojtyla è proposto ancora con cautela: sempre secondo Lai, riceve una decina di voti, che però salgono subito molto al sesto. Fra due scrutini collegati non c'è alcun "break" e in Sistina è vietato qualsiasi colloquio: ecco in azione lo "schema dello Spirito santo", il più caro alla tradizione conclavistica. L'"habemus papam" - prima di essere annunciato in Piazza San Pietro - se lo trasmettono i porporati, in silenzio, spostando voti sul nome "che abbiamo finalmente trovato". Trovato ma quasi sempre ancora lontano dall'elezione: e le pausa per i pasti – sempre in isolamento, ma non in silenzio – sono decisive per coagulare il consenso, per favorire una "desistenza" altrettanto "ispirata" da parte degli oppositori. Anche Giovanni Paolo II deve quindi attendere l'ottavo scrutinio sale sul trono di Pietro all'ottavo scrutinio, ma riceve quel plebiscito (99 o 101) che l'"ispirazione del conclave" cerca sempre di assegnare al nuovo papa.

Il blitz del papa tedesco
Meno voti (84) riceve otto anni fa Ratzinger, che però viene eletto rapidamente: al quarto scrutinio, appena dopo il pranzo in comune del secondo giorno. L'ultimo conclave si dipana secondo un suo schema peculiare, in parte dettato dal cambiamento di regole imposto da Giovanni Paolo II. L'importanza del primo scrutinio viene enfatizzata isolandolo nella serata d'avvio, appena dopo la "missa pro eligendo pontifice", l'"extra omnes", i giuramenti e l'ultima meditazione (sarà così anche martedì pomeriggio, con l'intervento dell'87enne porporato maltese Prospero Grech, un teologo agostiniano di stretta ortodossia raztingeriana). Lo scrutinio d'avvio accentua il quindi il profilo di "ultima congregazione", di elencazione esplicita delle candidature emerse nei giorni precedenti (meno dura il conclave, meglio è: e in questo senso andava anche l'introduzione della maggioranza semplice per sbloccare uno stallo prolungato, regola poi però eliminata da Ratzinger).

Il nuovo "primo scrutinio" recupera però anche, pur all'interno del meccanismo elettivo, un antico schema conclavistico: l'elezione . La versione contemporanea si vede all'opera proprio la sera del 18 aprile 2005: il decano tedesco del Sacro collegio riceve subito una cinquantina di voti dai 115 elettori. E il vero "mistero" dell'ultimo conclave è, alla fine, l'apparente spaesamento con cui l'ala non curiale del collegio risponde al blitz che . nei giorni precedenti – aveva preso corpo non del tutto in segreto. I cardinali non allineati sul rigido continuismo wojtyliano, reagiscono solo la mattina dopo portando a 40 voti l'arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio: gesuita come Carlo Maria Martini, leader "emerito" dello schieramento più riformista. Ma Ratzinger, al terzo scrutinio è già quasi ormai al traguardo: una mediazione sembra ormai impraticabile, anche perché il nome "in pipeline" è quello di Camillo Ruini, presidente della Cei. Un candidato forse troppo solido per la Curia capeggiata da Ratzinger e dal segretario di Stato Angelo Sodano; ma troppo poco "martiniano" per i cardinali internazionali: per i quali il prototipo del "papabile italiano" restava l'arcivescovo di Milano, ormai fuori gioco per ragioni di età e salute.

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