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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2013 alle ore 22:06.

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In Corea ultimatum atomico è epilogo di una giornata torbolenta
La notizia di oggi è solo l'epilogo di una giornata turbolenta all'altezza del 38/mo parallelo, in cui sono stati evocati venti di guerra sempre più forti. Una giornata cominciata con un'altra provocazione di Pyongyang: la chiusura ai lavoratori del Sud del distretto industriale «a sviluppo congiunto» di Kaesong. Un gesto riportato dai media di Seul con stupore, perché si tratta del più riuscito esempio della cooperazione tra i due Paesi.

Non a caso, con l'impennata della tensione, che arriva dopo giorni di minacce crescenti nordcoreani all'indirizzo di Seul e Washington che non hanno risparmiato il tabù nucleare, il ministro della Difesa di Seul, Kim Kwan-jin, ha assicurato l'esame di tutte le opzioni possibili, anche di quella militare nel caso di scenario peggiore, qualora la sicurezza dei propri lavoratori nell'enclave nordcoreano dovesse risultare a rischio.

E in serata, ma prima dell'ultimatum atomico della Corea del Nord, il segretario alla Difesa Usa Chuck Hagel aveva affermato che le minacce nucleari di Pyongyang costituiscono un «pericolo grave e reale».

Dure critiche da Pechino e Mosca
Dure anche le critiche da Cina e Russia. Pechino ha espresso «seria preoccupazione» e condannato tutte le «azioni e le parole provocatorie» che minacciano «la pace e la stabilità nella penisola coreana e nella regione». Mosca ha definito «esplosiva» la situazione.

E la Francia ha chiesto una riunione del Consiglio di sicurezza dell'Onu. I margini d'azione della Cina, tra la necessità di frenare l'imprevedibile alleato e di evitare il collasso del regime del 'giovane generalè Kim Jong-un, sembrano sempre più sotto pressione.
Lo scontro intercoreano ha abbattuto «la barriera psicologica che nessuno pensava potesse essere superata», ha detto all'Ansa un'autorevole fonte vicina alle complicate vicende della penisola, parlando di «oggettiva criticità».

Il blocco dei visti a Kaesong, timore di ostaggi sudcoreani
Ritornando alla notizia del blocco dei visti ai lavoratori del Sud Corea per il distretto industriale «a sviluppo congiunto» di Kaesong, finora quel distretto non era stato tirato in ballo nello scontro in modo tanto violento anche perché, secondo altre fonti, «tutti gli avvertimenti possibili» del Nord, incluse minacce di guerra nucleare e rafforzamento delle armi atomiche, si sono pressoché esauriti: i prossimi eventuali passi potrebbero essere provocazioni «di tipo più pratico».

Inoltre, prima del blocco dei visti, a Kaesong risultavano esserci 861 sudcoreani: questa mattina, nei piani originari, 484 lavoratori e 371 veicoli di Seul avrebbero dovuto raggiungere il distretto.
A fine giornata, ha riportato l'agenzia Yonhap, solo 33 hanno avuto il permesso di partire facendo scendere a quota 822 il numero complessivo di lavoratori nel complesso. Il calo drastico dei rientri, rispetto ai 466 ipotizzati, è legato alle esigenze delle 123 aziende attive di garantire operatività.
Tuttavia, il problema della loro sicurezza è il primo nella scala delle priorità del governo di Seul, perchè il timore mal dissimulato è che, con un altro colpo di mano o un'ipotesi di incidente, possano trasformarsi in possibili ostaggi.

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