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Questo articolo è stato pubblicato il 05 aprile 2013 alle ore 16:17.

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Smart city, città 2.0, senseable city, città creative. Sono questi alcuni degli slogan che descrivono le città del futuro: attente al risparmio energetico, cablate, disegnate a misura dell'uomo, città attrattive per gli stranieri e i giovani talenti, città capaci di reinventarsi ed essere competitive a scala globale. Ma le città di successo sono quelle che giocano la loro partita su temi concreti, che sanno mettere in atto azioni pubbliche e private che si traducono in spazi pubblici, interventi di demolizione e ricostruzione, nuove scuole (si vedano tre progetti realizzati a Stoccolma, Copenaghen e Amsterdam) .

Le città che sopravvivono in tempi di crisi sono quelle che realizzano incubatori di attività produttive, città capaci di sperimentare tipologie abitative che stanno al passo con la domanda in evoluzione, città che danno risposte concrete a chi le vive e a chi è pronto ad investire.

Barcellona, Bilbao, Berlino e più recentemente Copenhagen, Amburgo e Marsiglia sono alcuni esempi di rigenerazione urbana riusciti. Barcellona e Bilbao. A partire dal 1975 Barcellona è diventata uno dei laboratori urbani più attivi nel panorama nazionale e internazionale, prima con il piano regolatore proposto dall'architetto Oriol Bohigas e poi con l'attività di una generazione di professionisti catalani progressisti, passando per la sperimentazione, e con il ruolo attivo dello spazio pubblico che ha prodotto centinaia di nuove piazze, parchi e giardini. Barcellona ha ospitato i giochi olimpici nel 1992 e il Forum delle Culture nel 2004. Barcellona è stata un modello progettuale ed economico capace di essere ‘esportato' e applicato ad altre realtà metropolitane.

Sempre in Spagna un'altra città-modello per la rigenerazione urbana è Bilbao, e non solo per il suo landmark. Il Museo Gugghenheim ha avuto un successo indiscusso: arrivata al suo 15esimo anno di età, con le sue 33mila scaglie di titanio, ha conquistato visitatori da tutto il mondo e in un solo anno l'operazione (costata meno del Museo Maxxi di Zaha Hadid a Roma) si era ripagata. Ma la vera forza della città basca non sta sono nella grande scultura di Frank Gehry quanto nella capacità strategica di politici e urban planner di aver convertito una città soffocata da acciaierie e container del porto fluviale e industriale, in una città con una nuova vocazione, turistica e culturale e misura d'uomo.

La qualità degli spazi aperti e l'efficiente trasporto pubblico, con un tram che corre su un prato verde e con la doppia linea del metró che collega tutta la città fino al mare (sviluppata longitudinalmente in virtù della particolare orografia), la riconversione di spazi che hanno perso la loro primaria funzione, e, ancora, il recuperato rapporto con l'acqua del fiume. Sono questi gli elementi del dna della nuova Bilbao.

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