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Questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2013 alle ore 06:37.

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MILANO
«Solo due su 56, e mi dispiace, perché avremmo voluto fare di più». Gli investimenti in aziende nel Sud del Fondo di Investimento Italiano, ricorda il presidente Marco Vitale, sono in due anni solo una piccola minoranza, ennesima testimonianza della difficoltà dell'area nell'imboccare la via dello sviluppo.
Ma i problemi del Mezzogiorno, ricorda la Svimez in un documento condiviso con altre 20 associazioni e presentato ieri a Milano, sono i problemi dell'Italia, «perché - osserva il presidente della Svimez Adriano Giannola - qualsiasi politica di crescita del Paese non può che partire dallo sviluppo del Sud ed è illusorio che si possa ragionare per compartimenti stagni».
Il gap con il resto del Paese continua ad allargarsi, con un Pil 2012 sceso nel Centro Nord dell'1,4% mentre il Sud cede il 3,5%, con un prodotto tornato ai livelli del 1992 e 300mila posti di lavoro persi in quattro anni, il 60% del totale. Per evitare il "rischio desertificazione", le 21 associazioni propongono di intervenire recuperando un più adeguato livello di investimenti pubblici e puntando sulla riqualificazione del patrimonio urbano, sulla logistica e le grandi infrastrutture, sull'energia e le fonti rinnovabili.
«Serve un riorientamento della strategia nazionale – aggiunge Giannola – anche perché l'emigrazione sta svuotando classi demografiche essenziali: il Sud sta diventando l'area vecchia del Paese, con il rischio di avere un futuro nell'assistenza piuttosto che nella produzione». Per Carlo Trigilia, presidente della fondazione Res, l'urgenza di un cambio di rotta è legata ai costi eccessivi dei trasferimenti attuali, stimati in 60 miliardi all'anno e non più sostenibili. Ma lo sviluppo del Sud è necessario anche per porre un argine alla criminalità, sempre più incline a innestarsi in altre aree del Paese. «Basta incentivi – chiarisce – piuttosto dedichiamoci alla creazione di beni collettivi». Strategia che per il Ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca si traduce nella garanzia dei diritti di cittadinanza, cioè nella possibilità per tutti di avere accesso a servizi di qualità in sanità, istruzione, sicurezza. Barca boccia senza appello, «per fortuna le Ue ce la vieta», la richiesta della Svimez di attivare una fiscalità di vantaggio, mentre si dice d'accordo sulla necessità di investire in mobilità, riqualificazione dei territori e reindustrializzazione. Industria che già peraltro esiste, ricorda il vicepresidente della Fondazione Edison Marco Fortis, e che presenta un valore aggiunto di ben 28,8 miliardi, «più alto di Paesi come Finlandia, e Danimarca che pure godono di ben altre attenzioni e prestigio in Europa». Aziende spesso frenate però da logiche lontane dal mercato, «con una mentalità – ricorda Vitale – educata negli anni da un improvvido assistenzialismo» e che rende difficile per il Fondo di Investimento Italiano la selezione di imprese in cui investire.
Il ministro condivide le tesi delle 21 associazioni, si dice d'accordo sulla necessità di riattivare gli investimenti allentando i vincoli Ue, con un distinguo però sui metodi operativi, che a suo avviso devono cambiare. «Con questo Governo - chiarisce – abbiamo provato a modificare le modalità di utilizzo dei fondi pubblici, con un orientamento puntuale ai risultati attesi, una valutazione trasparente, un forte presidio nazionale per controlli e sopralluoghi. Questo significa che ricompare lo Stato». Infine, il ministro valuta come «terreno interessante» l'ipotesi della creazione di una macroregione del Nord, che però può funzionare «solo se il nord si convince che esiste un modo nuovo per investire al sud», perché solo così «il Paese rimane insieme.
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I NUMERI
-3,5%
Pil del Sud nel 2012
La frenata è stata più che doppia rispetto al Centro-Nord e il prodotto è tornato ai livelli del 1992
-300mila
Posti di lavoro
Dal 2008 sono stati persi oltre 300mila posti di lavoro,
il 60% del calo totale in Italia
28,8
Miliardi di valore aggiunto
La manifattura del Sud ha un valore aggiunto superiore
a quello di Finlandia (27,1), Romania (26,9) e Danimarca (23,2). L'export pro capite
è il doppio rispetto alla Grecia

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