Il Sole 24 Ore
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13 maggio 2013

La vecchia Milano criminale che adesso non esiste più

di Roberto Galullo


Un concentrato così forte di criminali comuni, negli anni Sessanta, Settanta e inizio anni Ottanta, in Italia non poteva vantarlo nessuno. Solo Milano. Luciano Lutring, morto la scorsa notte, faceva però eccezione in un poker poco poetico, anche se romanzato, che comprendeva – solo per restare ai nomi più noti – Francis Turatello, Angelo Epaminonda e Renato Vallanzasca. Chi prima, chi dopo, ma tutti attivi in quel periodo storico. Tutti hanno lasciato un segno nella Milano criminale. Tutti così diversi uno dall'altro ma – soprattutto- tutti così lontani dalla piega che avrebbe preso dagli anni Novanta la criminalità nel capoluogo lombardo e in tutta la regione.

Lutring – come gli altri compagni di avventura dotato di grande intelligenza – le armi con le quali rapinava le teneva in una custodia per violino e criminale lo era diventato per caso anche se, presoci gusto, continuò a lungo a seminare odio e amore in un città che lo temeva ma al tempo stesso lo ammirava per il lato dolce del carattere e per quella ruspante milanesità che traspariva anche nelle frasi in dialetto che dispensava nel corso delle scorribande nelle quali era solito lasciare mazzi di fiori e che era solito far seguire da fiumi di champagne e belle donne.

Anche Francis Turatello condivideva il gusto per la vita ma era – probabilmente – il solo punto di contatto con Lutring (che al pari di un altro criminale che in quegli anni si affacciava a Milano, Vincenzo Andraous, intraprese poi un difficile percorso interiore).

Turatello, pugile dilettante da Lambrate e delinquente in erba, scalerà rapidamente la vetta più violenta della Milano criminale, fino ad arrivare a controllare il gioco d'azzardo e la prostituzione. Insomma: l'avanguardia di attività che passeranno ben presto nelle mani di quella criminalità mafiosa che lui aveva sfiorato, così come aveva abbracciato la banda dei marsigliesi e il suo pericoloso capo Albert Bergamelli.

La fine di Turatello non poteva che essere segnata da un destino crudele, come crudeli erano le sue azioni e altezzoso il suo carattere che si prendeva gioco persino dei boss di Cosa nostra e camorra: il 17 agosto 1981 fu sventrato nel carcere di massima sicurezza di Badu ‘e Carros, in Sardegna e le sue viscere tirate fuori in segno di sfregio.

Una fine orrenda, così come orrenda era la sua rivalità, all'epoca, poi mitigata con gli anni, con un altro grosso calibro della mala milanese di quel periodo: Renato Vallanzasca, il bel Renè, di cui pure Turatello fu testimone di nozze. Altro viveur e sciupafemmine Vallanzasca, che con la sua banda della Comasina contribuì e non poco a terrorizzare Milano fin dagli anni Settanta con le sue rapine. Tempi di scontri duri tra crimine e Stato, visto che a guidare la Squadra Mobile, in quegli anni, c'era Achille Serra, un poliziotto destinato a una carriera brillantissima.

Vallanzasca – uomo duro nei frapporti personali al punto che una grazia gli fu respinta dall'allora ministro della Giustizia Roberto Castelli anche per il fatto che il tratto del suo carattere era rimasto pressoché immutato nel tempo a fronte di innegabili responsabilità assunte per le attività criminali e ben 11 anni di carcere duro – tra alti e bassi è riuscito a ricostruire un filo fuori dal penitenziario, nel tentativo di riannodare la rinascita di ciò che la vita gli concederà ancora.

In quella Milano che ha visto dagli anni Sessanta agli anni Ottanta passare questi personaggi e altri ancora, legati a loro come satelliti, oltre che assistere a una media di circa 150 omicidi all'anno per diverso tempo, non poteva mancare Angelo Epaminonda, ora sparito dai radar perché vive con la sua famiglia in una località segreta dopo l'arresto e il pentimento.

Catanese, di origini umili (altro tratto distintivo della maggior parte dei delinquenti dell'epoca) e trasferitosi da ragazzo con la famiglia a Cesano Maderno, entra ben presto nel giro della Milano che tira coca, cambia donne come i calzini e fa della mala una ragione di vita. Diventa il braccio destro di Turatello, il boss dalla faccia d'angelo, con il quale si addestra nelle rapine ma finisce ben presto per gestirne le bische, insidiarne l'autorità, fino a diventare un punto di riferimento per la mafia catanese. Resta sulla sua coscienza – tra le altre morti violente - la strage del 1979 in un ristorante milanese nel quale presero la vita 8 persone ma non farà in tempo a vedere, nonostante le radici alle quali anche lui ha contribuito, quel che accadrà a Milano e in Lombardia a partire dagli anni Novanta.

Non si può certo dire che la città e la regione possano avere nostalgia del poker Lutring-Turatello-Epaminonda-Vallanzasca ma si può con altrettanta certezza affermare che la scomparsa di morti ammazzati e di personaggi che della mediaticità facevano un vanto da esibire sotto perenni riflettori, non ha certo migliorato le cose.

Anzi. Quella criminalità violenta, esibita, pacchiana, ricca, sconsolatamente romantica per taluni, è stata sostituita dalle holding del crimine organizzato che – sotto la regia dei quattro ricordati sopra – erano solo all'esordio. Cosa nostra che pure, come abbiamo visto, si era affacciata nei rapporti di alcuni di quei criminali, è stata soppiantata rapidamente dalla forza travolgente della ‘ndrangheta calabrese.

Le rapine, i rapimenti di persona (che in Lombardia si affacciano proprio grazie al "ponte" della mala aspromontana), la gestione delle bische e della prostituzione hanno lasciato velocemente il passo al narcotraffico gestito in grande stile da cosche che fanno di tutto per operare nell'ombra e al gioco d'azzardo diventato business planetario. La prostituzione no, quella continua a restare un affare nel quale la criminalità organizzata entra con diffidenza a causa di paradossali codici di (dis)valori mafiosi.

Business ampiamente accompagnati dal riciclaggio di fortune miliardarie (derivanti proprio dal narcotraffico) nell'edilizia, nella ristorazione, nel commercio, nel turismo, nelle attività commerciali e in ogni altra forma di economia legale i cui capitali inquinati sfuggono ai controlli.

La differenza tra la Milano criminale di quegli anni e quella di oggi è che allora i morti restavano stecchiti per strada, i banditi facevano cantare i mitra e facevano scorrere fiumi di champagne mentre oggi le strade sono sgombre da cadaveri e i mafiosi fanno cantare i soldi che tutto comprano e corrompono. A partire dalla politica, credito e professionisti. Quel che resta sono i fiumi di champagne, la coca e le belle donne: oggi come allora i delinquenti non se li fanno mai mancare.

Quel che manca invece è la piena consapevolezza, nell'opinione pubblica, che questa criminalità è mille volte più forte di quella. Anche se non fa rumore, mangia parti sane di economia e società.

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com


13 maggio 2013