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Questo articolo è stato pubblicato il 07 giugno 2013 alle ore 06:39.

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Fmi, lunga catena di errori

Cos'altro è successo, in Grecia, se non il tentativo di proteggere i creditori da un default che avrebbero dovuto mettere in conto, vista la situazione del paese? In Argentina nel 2000 non andò diversamente: quell'intera, complessa, saga può essere letta come il tentativo di proteggere il più possibile i creditori – lo stesso Fondo non ha mai rinunciato a un centesimo di quanto gli era dovuto – peggiorando di fatto la situazione. E così andò in Thailandia, primo focolaio di una crisi che si espanse ai paesi vicini e poi alla Russia: a Bangkok il governo resistette il più possibile per evitare la caduta del baht e poi fu costretto dall'Fmi ad alzare i tassi per "ripristinare la fiducia" degli investitori. Solo il concomitante rialzo dei prezzi agricoli protesse i cittadini più deboli di quel l'area da una crisi che minacciava di essere persino più rovinosa. In quel frangente la Malaysia, che si ribellò ai diktat del Fondo e chiuse le proprie frontiere ai capitali, dette a tutti una lezione importante che l'organizzazione di Washington poi accettò, ma di cui evidentemente non ha fatto abbastanza tesoro.

In questo atteggiamento, non c'è necessariamente una presa di posizione ideologica. È piuttosto il tentativo di creare un contrappeso alla proclività dei governi a indebitarsi scaricando sul futuro, sui governi successivi o sui cittadini attraverso l'inflazione, il peso del risanamento. In tutte le grandi crisi finanziarie sovrane in cui il ruolo dell'Fmi (o della troika) è dubbio si può trovare questo atteggiamento malsano della politica, a conferma che cercare il colpevole non è così semplice. La conseguenza è che ogni cedimento a favore dei paesi debitori viene visto – non senza ragioni – come un incentivo a proseguire per la stessa, insana strada. Le soluzioni adottate, però, puntano spesso a vietare alcune politiche – quelle che poi mancano all'appello – invece di coordinarle tutte alla ricerca di un pragmatico, anche se difficile, equilibrio: l'obiettivo comune della ripresa.

C'è un sistema diverso, più equilibrato? Forse sì. Nel 1944, quando si progettava l'Fmi, John Maynard Keynes disegnò un meccanismo finanziario internazionale che poneva l'onere del risanamento sui creditori, introducendo una sorta di caveat creditor, analogo al caveat emptor ("stia attento il compratore") del diritto privato civile. La proposta sembrava portare avanti gli interessi della Gran Bretagna indebitata, ma pensarlo significa essere ingenerosi verso il grande economista. Oggi, settant'anni dopo, molte cose sono cambiate – tra l'altro debitori sono gli Usa, creditori Cina e Germania – e quell'impostazione va rielaborata. Un sistema più bilanciato, che non divori se stesso, sembra però necessario.

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