Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2013 alle ore 14:41.

My24
Moschea al posto della statua di Ataturk: il progetto che ha scatenato le proteste - Raffica di arresti per contestazioni via twitter

L'altra sfida lanciata da Erdogan con i suoi piani urbanistici è il terzo ponte sul Bosforo. Il ponte non viene del tutto contestato: serve a smistare ingorghi mostruosi dalla parte asiatica a quella europea. Il problema è che Erdogan vuole intitolarlo al Sultano Selim, padre di Solimano il Magnifico. Selim, detto il Triste, è noto perché nel 15° secolo massacrò 40mila aleviti che sono in Turchia circa 10-12 milioni, quasi un quarto della popolazione.

In questi giorni ho intervistato Cengiz Hortoglu, capo della Federazione Alevi-Bekhtashi, uno dei leader di questa importante minoranza musulmana che non si deve confondere con gli alauiti di Siria ma che condivide con questi, oltre alla devozione per Alì, genero e cugino di Maometto, una visione moderata ed eterodossa dell'Islam: non vanno in moschea, non fanno il pellegrinaggio alla Mecca, non discriminano le donne e hanno una visione molto laica della politica, votando in gran parte i partiti secolaristi. L'attuale leader del partito repubblicano Chp Kemal Kiliçdaroglu è anche lui un alevita, originario di una famiglia emigrata secoli fa dal Khorassan persiano.

«La decisione di Erdogan di chiamare Selim il nuovo ponte ci ha addolorato - dice Hortoglu -, risveglia nella nostra comunità ricordi amari e non solo del passato più antico». Anche se è stato proprio Erdogan a chiedere ufficialmente scusa alla comunità alevita per gli eventi del 1937-38 quando a Dersim, una provincia della Turchia centrale, venne compiuto un massacro contro i curdi aleviti di quelle zone: l'aviazione turca bombardò facendo migliaia di morti. «Ma gli aleviti - continua Hortoglu - chiedono anche il riconoscimento culturale e religioso della loro minoranza». Nel marzo 2011, almeno sessantamila persone di fede alevita sfilarono nelle strade di Smirne per protestare contro il governo. I manifestanti volevano l'abolizione delle lezioni di religione obbligatorie, la riapertura delle cemevis, i luoghi di culto, e il relativo riconoscimento del loro status legale.

«Siamo contro i corsi obbligatori di religione nelle scuole, contro le manovre di assimilazione e i tentativi del governo dell'Akp di Erdogan di rimpiazzare le nostre organizzazioni con le sue», dice la signora Vicdan Baykara, combattiva leader di un sindacato laico. «Abbiamo tre obiettivi: il riconoscimento dei cemevis come luoghi di culto, la riforma del direttorato per gli affari religiosi e soprattutto l'abolizione dell'obbligo dei corsi di religione nelle scuole, impartiti secondo l'ortodossia sunnita. I bambini aleviti sono costretti a seguire un credo che non è il loro. In un paese moderno e democratico lo stato deve disimpegnarsi dall'insegnamento religioso, dice Vicdan Baykara». «L'alevismo si è formato con molti contributi diversi. I nostri rituali, la nostra filosofia, le nostre pratiche sono differenti da quelle sunnite e anche dallo sciismo con cui per altro condividiamo il culto dei Dodici imam e di Alì».

Sono più che una piazza e un ponte, dunque, a dividere la Turchia laica dai metodi autoritari del primo ministro. Erdogan è consapevole di toccare con i suoi progetti i nervi sensibili di una parte della nazione: se come afferma vuole tenerla unita deve cambiare tono e soprattutto considerare anche la metà del Paese che non vota per lui. Ma non sempre la democrazia, in particolare quella all'islamica, è portatrice di tolleranza e libertà di vedute.

Shopping24

Dai nostri archivi