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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2013 alle ore 09:01.

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Due magistrati depongono sulla cattura di Provenzano mentre a Reggio si mischiano le carte

Il 10 luglio 2012, in un evento pubblico, l'allora procuratore capo della Dna e oggi presidente del Senato, Grasso, aveva ancora una volta tagliato la testa a due ipotesi in una: non si è mai riscontrata alcuna presenza certa della latitanza di Bernardo Provenzano nel Lazio e mai trattativa tra Stato e Cosa nostra ci fu per la sua cattura: «Non c'è nessuno elemento che ci porta a ritenere che il boss abbia soggiornato nel Lazio. Certi giornalisti si fanno affascinare dalle ipotesi. I magistrati non hanno assolutamente trattato».

Ce n'è abbastanza evidentemente per la Procura di Palermo che a sorpresa ma fino a un certo punto, riapre il capitolo della cattura o forse della resa di Provenzano sull'onda di quanto iniziato un anno fa e terminato in un vicolo apparentemente cieco.
Teresi, Di Matteo, Tartaglia e Del Bene hanno del resto elementi nuovi ogni giorno che incastrano proprio perché la materia della trattativa tra Stato e mafia si plasma di giorno in giorno. E ultimamente la stessa Procura di Reggio Calabria –anche sulla scia di informative della Dia di Reggio e di Palermo che risalgono a 20 anni fa sul ruolo della ‘ndrangheta nella strategia stragista di Cosa nostra – sta dando una mano a Palermo con un filone apposito che fa seguito all'operazione Breakfast.
Sebbene la ‘ndrangheta non abbia mai appoggiato la strategia stragista di Cosa nostra, era ben disposta ad appoggiare piani che vedessero nella secessione o nel federalismo spinto gli obiettivi da raggiungere.

Irrompe Spatuzza
A questo punto – non mancando gli intrecci a distanza - Palermo chiama e Reggio risponde. Ma se Palermo chiama interrogando due magistrati, la Calabria (ma non la Procura di Reggio) risponde mischiando le carte per portare fuori strada. E questo lo sanno tanto i pm di Palermo quanto quelli della Dda di Reggio.
Palermo infatti sta cercando di vederci chiaro in una dichiarazione che il pentito siciliano dal 2008 (per moltissimi versi attendibile e tale ritenuto dalla Procura di Palermo) Gaspare Spatuzza disse in un'udienza il 5 ottobre 2012 in aula nel corso del cosiddetto processo-Mori, parlando del fallito attentato ai Carabinieri e del suo rapporto col boss Giuseppe Graviano. Irruppe così sulla scena facendo riferimento, attenzione, a un incontro tra i due nel gennaio 1994 quando, si badi ancora meglio, le stragi del 92/93 erano drammaticamente alle spalle: «Graviano mi disse che avevamo chiuso tutto e ottenuto quello che cercavamo grazie alla serietà di certe persone come Berlusconi e Dell'Utri». Sempre in quell'occasione – e non prima, ergo a gennaio 1994 e non prima, nonostante Spatuzza fosse un suo fedelissimo - Graviano disse che nonostante «avessero chiuso il discorso, serviva il colpo di grazia» che doveva essere l'attentato ai Carabinieri allo stadio Olimpico, poi fallito. «I calabresi già si sono mossi» avrebbe detto il capomafia a Spatuzza alludendo all'uccisione di due carabinieri in Calabria.

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